martedì 27 settembre 2011

Aber - sesta settimana

La notte in Africa
La notte in Africa è lunga (alle 19 è già buio pesto e fino alle 6:30 la luce non tornerà);
La notte in Africa - fino ad una certa ora - è rumorosa (animali, musica, rumori strani. Sembra che ognuno voglia dire la sua per non far sentire il silenzio assordante della notte);
La notte in Africa - da una certa ora in poi - è tremendamente silenziosa (a un certo punto tutto tace, non si può più far finta di niente, il silenzio vince);
La notte in Africa è popolata (un sacco di gente vive la notte africana, cammina, continua a camminare anche nel buio più profondo. Ognuno, ai nostri occhi, sembra avere una provenienza incerta e una destinazione improbabile);
La notte in Africa fa paura a chi non è abituato (i rumori che non conosci ti spaventano, i lunghi silenzi ti costringono a pensare e il loro vuoto ti angoscia);
La notte in Africa è fredda (è strano come le ore di buio cancellino altrettante ore di sole che avevano scaldato. Altrettante ore di sole che avevano illuminato, sembrano non esserci mai state);
La notte in Africa dice molto dell'Africa (della sua storia e della sua attualità);
La notte in Africa finisce (verso le 6:30 torna a risplendere il sole, torna ad illuminare, torna a scaldare).

mercoledì 21 settembre 2011

Aber - quinta settimana

Is 55,6: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino".
Così iniziava la prima lettura di domenica scorsa (rito romano). Appena letta mi ha colpito e interrogato. Forse perchè qui il Vangelo trova un'incarnazione che, anche volendo, non puoi trascurare. In modo particolare mi colpiva, da una parte, l'importanza data al vivere il momento dell'oggi, all'essere presente al presente e dall'altra le due affermazioni :"mentre si fa trovare" e "mentre è vicino"...forse ci sarà un tempo in cui non sarà vicino o in cui non si farà trovare? Effettivamente in quest'Africa dalle mille contraddizioni non è sempre facile trovarLo. Se da una parte ci sono il coraggio e la forza delle donne e i sorrisi dei bambini in cui la Sua presenza è fin troppo evidente, dall'altra parte c'è la povertà (non solo economica), l'ingiustizia di alcune situazioni, l'egoismo di molti che, stanchi di dover sopravvivere più che di vivere, pensano solo a loro stessi (scaricando chiunque, forse per prima la propria famiglia), la rassegnazione di chi sa che non vedrà mai cambiare nulla della sua situazione indegna. L'Africa non è solo ospitalità, sorrisi, musica e coraggio! E allora il senso di essere qui è invocare il Signore insieme a questa gente affinchè non faccia mai mancare la speranza, la consolazione, la voglia di lottare e di cambiare le cose nella certezza che Lui è e sarà sempre vicino.

martedì 20 settembre 2011

...Hellen...

Io e Hellen abbiamo molte cose in comune.
Abbiamo la stessa età e siamo arrivate all'ospedale di Aber lo stesso giorno: il 22 Agosto scorso.
Poi abbiamo anche tante cose non in comune: io ci sono arrivata come medico all'ospedale di Aber, e lei come paziente. Lei in queste settimane ha scoperto di essere sieropositiva, mentre io non ho scoperto che cosa l'ha fatta morire.
Ci ha accomunato però anche lo sguardo: uno sguardo ad occhi sgranati, lo sguardo di chi non riesce a capire e di chi non riesce a spiegare ciò che sta succedendo.
Come se fossimo dentro due bolle di sapone differenti, ci potevamo vedere senza poterci parlare, anche se c'era sempre chi traduceva per noi.
Credo che questo tipo di cura qui manchi ancora di più di quanto manchino cure efficaci per l'HIV e le sue complicanze.
La cura che si deve a coloro i quali si comunica qualcosa di triste, drammatico.
La cura che si deve quando si ascolta senza saper dare risposte.
Tutte queste “sfumature”, queste attenzioni, sono difficili da conservare qui dove la vita, e la morte, si manifestano con tale potenza e possono abituarti alla sofferenza, facendoti perdere la compassione, la pietà.

martedì 13 settembre 2011

Aber - quarta settimana

Aber, 12 settembre 2011

Anche qui all'equatore la domenica pomeriggio si usa fare una bella passeggiata.
Ieri siamo andati a far visita a Molly insieme a Caterina e agli altri italiani che sono qui con noi in questi giorni: un bel gruppo di Msungo che si inoltra fra l'erba alta della savana!
Lungo la strada ci fermiamo per una breve sosta da Richard, ex autista dell'ospedale, che ci offre le sue sedie migliori per riposarci, ci presenta i suoi sette figli e i frutti delle sue coltivazioni: fagioli e papaie. Ci presenta anche un altro ragazzo: “Lui non è mio figlio, non è neanche mio parente , ma non aveva nessuno e così ho cresciuto anche lui...con quello che avevo”. Proseguiamo e chiediamo informazioni ad Aron, un bambino di circa 6 anni che ci accompagna fino a casa di Molly.
Molly è una ragazza che lavora per Caterina (lava i panni e stira), credo che abbia meno di 30 anni. Vive con il suo unico figlio Vincent di 9 anni che ha un ritardo mentale dovuto ad una malaria cerebrale. Il padre di Vincent non c'è, con la scusa di questo episodio ha pensato bene di abbandonarli. Quando siamo arrivati Molly non c'era, perciò una ragazza è andata a cercarla. Molly è arrivata con un fascio di foglie di patata dolce da piantare. Si è scusata per non essere pronta ad accoglierci, poi ci ha presentato Vincent e ci ha mostrato che i semi di anguria portati dai Msungo stanno producendo due belle anguriette.
Abbiamo fatto qualche foto insieme a loro ed ai bambini che nel frattempo erano saltati fuori da non si sa bene dove. Infine Molly ci ha mostrato l'interno della capanna: due metri per due, un letto sollevato da terra e dotato di zanzariera (questo suscita il nostro encomio!) dove lei dorme con Vincent. Un po' di vestiti e un po' di utensili da casa appoggiati sul pavimento costituito da un pezzo di cerata di quelli che noi usiamo come tovaglia della cucina. Il tetto in paglia è un'opera architettonica mirabile e si usa anche per stenderci i panni ad asciugare. Le chiediamo dove va normalmente a prendere l'acqua (per noi, oltretutto, non potabile) e ci risponde: “a un paio di chilometri da qui”.
Il sole si avvicina rapidamente alla linea dell'orizzonte e noi dobbiamo andare. Salutiamo Molly e Vincent e tutti i bambini del vicinato. Chiediamo solo ad Aron di riaccompagnarci verso casa (il nostro senso dell'orientamento non è molto sviluppato) e il Franci ne approfitta per farsi portare in braccio per oltre un quarto d'ora dalla nostra guida di 6 anni.
Tornati a casa facciamo la doccia...giri una manopola, scende l'acqua...troppo calda; ne giri un'altra...ora è giusta. Questo Molly e suo figlio non potranno MAI farlo.
A cena ci guardiamo, quasi ci sentiamo a disagio per la nostra elettricità, la nostra acqua corrente calda e fredda, il nostro frigo ed il cibo che abbiamo nel piatto. Ci chiediamo come si possa vivere come Molly e se mai sia possibile uscire da una tale situazione. Forse la domanda stessa non ha senso qui. Forse con il tempo impareremo da Molly, dalle tante Molly, il modo giusto di porre le domande a questa Africa.

mercoledì 7 settembre 2011

...finalmente...pizzi-post

Sono passate 3 settimane dalla nostra partenza, e solo ora provo a scrivere qualcosa.
Il primo impatto con l'Africa questa volta me lo aspettavo più soft...errore! Il primo impatto con
l'Africa è sempre una botta...ogni volta è sempre come la prima volta!
Iniziando dall'angoscia, quasi inspiegabile dei primi giorni, sicuramente associata alla grande
stanchezza ed ai 1000 piccoli disagi che si trovano qui, per continuare con il fatto del non capirsi
con la gente, con il non sapere bene cosa fare, con le condizioni dell'ospedale e dei pazienti, con
l'essere continuamente osservati, con gli odori...
Poi le cose sono andate migliorando.
La vita qui è molto lenta e routinaria, e questo è un bene.
Al mattino io vado in Ospedale, nel reparto di Medicina insieme a Caterina, Laica Missionaria
Comboniana anche lei, che è qui da 2 anni ormai.
Per ora sono in affiancamento perché non sono ancora registrata all'ordine dei medici ugandese, ma
soprattutto perché non sono assolutamente in grado di fare tutto ciò che può essere necessario (tipo i
parti cesarei)!
Le condizioni di salute e di vita in genere di questa gente sono davvero scarse. Molti hanno la casa
di fango e paglia, anche fra gli infermieri dell'ospedale. La maggior parte vivono di agricoltura o di
piccole attività commerciali o di sussistenza. Forse anche per questa ragione prima di portare un
ammalato in ospedale passa molto tempo: bisogna prima trovare i soldi per il trasporto e per pagare
il ricovero e poi per mantenere l'ammalato e chi lo assiste per i giorni del ricovero (qui è la famiglia
a farsi carico dell'alimentazione e dell'igiene del paziente). Talvolta arrivano in Ospedale talmente
tardi che non si può fare altro che aspettare che muoiano. Anche i mezzi disponibili in ospedale
sono molto limitati, soprattutto se paragonati allo sperpero che siamo abituati a vedere in Italia.
In più c'è il problema comunicativo, e non intendo solo la lingua: per esempio non fanno di si con la
testa come noi, ma alzano le sopracciglia e inclinano appena il capo all'indietro dicendo “eeh!” e
questo significa “si!”. Vi potete immaginare come descrivono il dolore, o la febbre... Inoltre hanno
un concetto del tempo assolutamente relativo, spesso determinato dalla mancanza di strumenti per
misurarlo in modo oggettivo (da cui il detto africano “voi avete l'orologio, noi abbiamo il
tempo”...). Diventa però difficile ricostruire se la tosse c'è da una settimana, da un mese o da un
anno. Per non parlare delle anagrafiche delle cartelle ospedaliere che spesso nella casella “Age”
(età) riportano la scritta “adult” (adulto) o “elderly” (anziano)...
Per fortuna poi ci sono sguardi e gesti che trapassano ogni barriera comunicativa, anche nelle
situazioni più drammatiche.
Vi voglio raccontare la storia di Eunice, una donna di 30 anni che è arrivata in ospedale domenica
notte perché stava molto male. Qui ha scoperto di essere sieropositiva e quando io l'ho vista lunedì
mattina mi sono resa conto che aveva uno scompenso epatico terminale, stava sanguinando dallo
stomaco, aveva una peritonite e l'insufficienza renale. Gli abbiamo dato tutte le cure che era in
nostro potere dargli e io gli ho comprato l'antibiotico perché lei non se lo poteva permettere. Mentre
l'infermiera era accanto al letto Eunice le ha chiesto di non sprecare tutte quelle medicine per lei che
stava per morire, ma di riservarle per qualcun altro.
Sono tornata più volte a vederla nella giornata, lunedì sera e poi martedì mattina alle 8; allora lei mi
ha guardata con lo sguardo lucido di chi sa cosa sta per accadere e mi ha detto “Grazie”.
Poi martedì pomeriggio è morta. Eunice “ci è passata avanti nel Regno dei Cieli”.

Aber - terza settimana

Cari, affezionati, lettori il vostro numero sta ormai raggiungendo livelli degni dei migliori Blog...grazie!
Eccomi a scrivere un aggiornamento sulla terza settimana trascorsa.
Direi che gli eventi salienti sono stati 4:
  1. La presentazione ufficiale in parrocchia
  2. alcuni momenti di sconforto (ma con importanti suggerimenti)
  3. l'inizio in autonomia della Pizzi in ospedale (vi scriverà poi lei di questo)
  4. ma soprattutto: Aver tolto il pannolino a Francesco!!!
Ma andiamo per punti:
1: Domenica scorsa, in seguito ai contatti presi con il parroco e in seguito ad una visita introduttiva avvenuta a casa nostra, c'è stata la presentazione ufficiale in chiesa. Durante la Messa della comunità, Father Ambrogio (giusto per non farci sentire nostalgia di Milano!) ci ha invitati a salire sull'altare e a dire due parole di noi. Imbarazzo a parte, è stato importante essere introdotti e poter iniziare a condividere con la gente qualcosa di noi!
2: Come logico che sia, i momenti di sconforto continuano (fortunatamente sempre più raramente) a presentarsi. E proprio durante uno di questi, però, è stato bello capire che non è possibile tenere tutto sotto controllo, bisogna abbandonarsi e confidare nell'aiuto di Qualcun'altro...infondo è Lui che ci ha voluti qui! Riprendendo poi la cosa a mente serena, credo che sia un buon atteggiamento quello di dare il meglio di sè e per il resto consegnarsi a chi è più grande di noi.
3. Seguira Pizzi-post
4. Ma la cosa più importante e che ha assorbito - visto che stiamo parlando di pannolini - la maggior parte delle mie forze, è stato togliere il pannolino al Franci!!! a una settimana di distanza siamo a buon punto...2/3 cambi al giorno ma tanta soddisfazione al sentire "papà...pipì!" Bravo Francesco!

Un abbraccio e una prima parola in Lango (altra cosa che sta assorbendo tempo/energie): don ibedi (saluto che si fa quando si va via = restate bene!)