martedì 22 novembre 2011

Aber - quattordicesima settimana

TV E AUTOMOBILI

Nella nostra casa qui ad Aber abbiamo una TV speciale in cucina, che è consentito guardare anche a cena. Questa TV funziona solo dopo le 7 di sera, quando fuori è buio ed in casa si accende la luce.
Allora una miriade di creature sorprendenti dà il via alla programmazione serale!
Si tratta della zanzariera della finestra in cucina. Per prime arrivano le falene, poi è la volta delle lucciole seguite dalle cavallette. Talvolta arriva anche la mantide. Ma per ultimo arriva l'eroe preferito di Francesco: il geco. Lo si vede fermo immobile, che pare uno di quelli con la ventosa da attaccare ai vetri, poi tutto a un tratto fa uno scatto e la povera falena di turno ha appena il tempo di sbattere un'ultima volta le ali prima di scomparire nella sua bocca.
A quel punto il Fra è in visibilio. Il geco è diventato un suo idolo al punto che l'altra sera ha tentato di emularlo mangiando anche lui una falena! (per le nonne: non preoccupatevi, non sembra che Francesco abbia riportato gravi conseguenze).
Qualche giorno fa, guardando “la nostra TV”, Marco mi dice:
“Guada! Sta passando una macchina!”
Io mi sono affacciata in fretta, ma non l'ho vista.
“No, ti sei sbagliato. Sarà stata la torcia di qualcuno a piedi” faccio io.
“No no: era una macchina”
“Ma intendi un'automobile?”
“Si si!”
“Ma se non c'è neanche una strada lì!”
“Eppure era una macchina!”
Ci guardiamo. Io mi metto a ridere.
E' la prima volta che trovo del tutto improbabile vedere un'automobile dalla finestra di casa.

martedì 15 novembre 2011

Aber - tredicesima settimana

Sabato e domenica siamo stati ad Angal, nella regione del West Nile. Qui sei anni fa avevamo fatto un'esperienza di un mese, qui sei anni fa, mentre stavamo prendendo il bus per tornare a Kampala e da lì in Italia, un anziano sconosciuto ci diceva:"Doctors, You will come back".
Beh, sabato siamo tornati proprio ad Angal per rivedere il villaggio, ma soprattutto per rivedere Mario e Claudia: due persone molto importanti per noi. Due persone che ormai da più di quarant'anni si impegnano per l'Africa, sia stando fisicamente in Uganda che stando in Italia e cercando di parlare il più possibile di ciò che hanno visto e vissuto (http://www.amicidiangal.org)
Per arrivarci bisogna costeggiare il parco nazionale delle Murchison falls: è una strada stupenda lunga più di 150km; è la strada stessa che fa da recinto al parco e non ci sono altre barriere, quindi bisogna stare attenti agli animali che attraversano: babbuini, scimmie, antilopi; ma in lontananza puoi avere la fortuna di vedere anche giraffe, elefanti, bufali. Poi si arriva a Pakwach dove c'è il ponte sul Nilo: attraversare questo fiume dà sempre emozioni forti! Veramente l'Uganda si merita il titolo di "perla d'Africa".
Proprio qui alle Marchison falls (http://www.murchisonfallsnationalpark.com/), in questo posto incantevole, in cui le acque del Nilo passano per una stretta gola formando cascate mozzafiato, proprio qui arrivarono i romani circa duemila anni fa e proprio qui, pare, decisero di fermarsi.   

martedì 8 novembre 2011

Aber - dodicesima settimana

Dall'ospedale:
Non so come si chiama la mamma di Isaac.
Io la chiamavo semplicemente “Mama Isaac”, come si usa fare qui.
L'ho conosciuta una mattina, circa un mese fa, quando seduta nella “procedure room” della pediatria teneva in braccio Isaac appunto, un fagottino riccioluto di quattro mesi che aveva le convulsioni subentranti da un'ora o forse più mentre i “miei” infermieri lo guardavano dicendo: “Si si! Ora si vede proprio che sono convulsioni...”.
Mama Isaac non diceva una parola, non fiatava neanche, ma io sentivo che stava pregando.
E sicuramente è stato questo a mantenere Isaac in vita. Non sicuramente le mie urla contro gli infermieri che non stavano facendo niente, né le cannule di Mayo pediatriche che ho recuperato in maternità, né le fiale di diazepam e di idrocortisone e neanche le quintalate di antibiotici e chinino che gli ho somministrato.
Man mano che passavano i giorni e Isaac lentamente, molto lentamente, migliorava lei iniziava a sorridere. Non abbiamo mai potuto scambiare molte parole, ma io so che lei mi capiva anche se parlavo in inglese.
Il giorno in cui i “muno” (i bianchi, gli italiani) sono venuti a visitare il reparto è stata lei a organizzare le altre mamme per fare un canto di accoglienza: perché lei era la “mamma senior” e doveva coordinare tutte le altre; ma soprattutto perché anche quella mattina Isaac era vivo e questo era un buon motivo per lodare Dio.
Dall'orfanotrofio:
A volte sono i piccoli gesti inaspettati che ti suggeriscono cose importanti. Da quando siamo arrivati, cerchiamo di andare a messa quasi tutte le mattine alternandoci un giorno io e un giorno la Mari. In modo particolare io ci tengo ad andare il sabato mattina perchè la messa è partecipata e in parte un po' animata dai ragazzi dell'orfanotrofio. E' un bel momento da vivere con loro. Così sabato scorso suona la sveglia alle 6:30; apro gli occhi (e soprattutto le orecchie) e sento che fuori sta piovendo. La voglia di alzarsi diminuisce, quasi si azzera, però decido di alzarmi e andare...infondo io ho gli stivali, l'ombrello e la chiesa non dista più di 200 metri da casa nostra. "Sicuramente i ragazzi non ci saranno - penso - però voglio andare comunque". Arrivo in chiesa ed effettivamente i ragazzi non ci sono. Il mio inguaribile pregiudizio è già pronto a condannare:"quei pigroni hanno subito trovato la scusa per non venire". Poi effettivamente penso che sotto quella pioggia torrenziale è difficile per loro raggiungere la chiesa, in modo particolare da quando li hanno messi nel nuovo edificio a un chilometro di distanza. Non ho ancora finito di fare tutte le mie congetture, che ecco entrare in chiesa un gruppetto di 4/5 ragazze dell'orfanotrofio: senza ombrello naturalmente (NB: la strada per l'orfanotrofio non offre nessun tipo di riparo), a piedi nudi, con in testa un velo fradicio come unica protezione, tutte infreddolite. E dopo un po' ancora arriva un altro gruppetto e poi ancora un altro. Fuori continua a piovere, le strade sono degli acquitrini fangosi...gli ultimi arrivano alla comunione, ma ci sono! Dopo la messa mi fermo a parlare con loro, a ringraziarli perchè la loro presenza, in modo particolare in questo piovoso sabato mattina, era stata importante. Sta ancora piovendo e si preparano a tornare a casa. "Andate sotto la pioggia?" chiedo io ingenuamente. "Yes, no problem, do you fear the rain?"
Questa risposta mi ha fatto molto pensare. Da una parte mi viene una riflessione sul mio vissuto personale, dall'altra l'ennesima riflessione sulle contraddizioni di questo mondo. Personalmente mi vergogno per tutte le scuse che trovo quando non voglio fare qualcosa. Come è facile assecondare la pigrizia, quante "pioggie" si frappongono tra me e le tante cose che ci sarebbero da fare. Dall'altra mi viene da pensare che se questa gente fosse altrettanto pronta a sfidare la pioggia per andare a lavorare come lo è per andare a messa, forse sarebbe meglio. Spesso capita che in ospedale il personale non si presenta perchè piove e improvvisamente sono loro ad avere paura della pioggia. E allora, magari per cose diverse, ma in Italia come in Africa, sarebbe opportuno chiedersi un po' più spesso "do you really fear the rain?"
Da Francesco...per tutti i bimbi (ma non solo!):
ciao...ecco una canzoncina che mi piace tanto in questo periodo e che vorrei condividere con voi: La tartaruga (cliccateci sopra!) dite ai grandi che una delle differenze maggiori tra l'Africa e l'Italia sono i ritmi e la velocità e questa canzone parla proprio di questo. La tartaruga andando troppo veloce fa un incidente contro un muro ed è costretta a rallentare e solo così trova la felicità: carote e gelato che andando troppo forte non aveva mai notato. La tartaruga, lenta com'è, afferra al volo la fortuna quando c'è, dietro una foglia, lungo la via, trova là per là la felicità...ditelo ai grandi!
Un bacino a tutti!

giovedì 3 novembre 2011

Aber - undicesima settimana

Questa settimana, volevamo condividere la "fredda cronaca" (per usare una celebre espressione di un profeta degli anni '90 che i più affezionati di voi a "mai dire gol" certamente ricorderanno!) dello scorso weekend. Siamo partiti venerdì per andare a Moyo a trovare una suora che gestisce una babies home (orfanotrofio per bimbi 0-6 anni). E' un paradiso terrestre a 3 chilometri dal confine col Sud-Sudan, ma per arrivarci bisogna passare attraverso l'inferno...160 km di strada sterrata che nella stagione delle piogge forma delle voragini in cui inevitabilmente vengono risucchiati i TIR diretti e provenienti dal vicini stato sudanese. Già, è l'unica strada di comunicazione tra le due nazioni! Anche noi ci siamo inevitabilmente imbattuti in questi disagi: 2 ore fermi in coda (neanche fossimo sulla A4) e il resto del tragitto a una media di 30/40 km/h...fate presto i conti di quanto abbiamo impiegato a percorrere quel tratto di strada! Per foruna con noi c'era anche sister Martina che, essendo originaria di Moyo, un po' ci tranquillizzava sulla "normalità" della situazione. Questa "normalità" è così frequente che lei erano 4 anni che non si avventurava ad andare da sua sorella perchè, ci diceva "con i mezzi pubblici non sai mai quando e se arrivi". Questa tesi è avvalorata dal fatto che, dopo questi 160 km di sterrato...arriva il bello: attraversare il Nilo! arriviamo al ferry (zattera semovibile a vapore) alle 19:05 e scopriamo che, con una puntualità del tutto inaspettata per essere in Uganda, la corsa delle 19 è già partita, ma soprattutto scopriamo che era l'ultima corsa regolare della giornata! "Dovete aspettare che arrivi qualche bus così il traghetto dovrebbe (dovrebbe?!?) fare una corsa straordinaria. Altrimenti potete dormire in macchina. Non vi preoccupate se vedete qualche coccodrillo o qualche ippopotamo basta tirargli una pietra e scappano!"...rassicurante, no?! Per fortuna dopo sole due ore arriva un bus e dopo un'altra mezz'oretta il ferry viene a recuperarci. Ormai la notte è inoltrata, il buio africano ci avvolge. Ci imbarchiamo su questa barcarola che si avventura sulle nere acque del Nilo e, solo grazie agli abbaglianti della prima macchina salita a bordo, riesce a farsi strada nelle tenebre. Per fortuna la traversata è abbastanza breve, arriviamo sull'altra sponda e dopo un'oratta di strada, alle 22:30 arriviamo alla babies home.Qui ci accoglie sister Maureen, ci fa vedere la nostra stanza, ci da la cena e poi, finalmente, tutti a letto.
Il giorno dopo c'è una celebrazione per fare un po' di raccolta fondi per l'orfanotrofio: 2 ore e mezza di discorsi incomprensibili dopodiché fortunatamente riusciamo a liberarci e, dopo un riposino, finalmente a visitare un po' questo incantevole posto: colline e montagne verdi a perdita d'occhio; fiori di un colore intensissimo, alberi dai frutti grandi e profumati; l'ambiente incontaminato dall'uomo (solo adesso riusciamo ad apprezzare la mancanza di asfalto!); un silenzio e una pace che sembrano surreali. Nella seconda parte del pomeriggio, quando anche la suora riesce a liberarsi dalla festa, visitiamo un po' l'orfanotrofio: 75 bimbi tra i 0 e i 6 anni abbandonati. Alcuni di loro hanno ancora un genitore che però non riesce a prendersi cura del proprio figlio, così per un po' di tempo lo deposita lì, quando sarà più grande e potrà essere utile per lavorare nei campi o pascolare gli animali, forse, verranno a riprenderlo. La legge ugandese lo permette. Altri invece sono stati proprio abbandonati e ritrovati dalla polizia. Sono divisi per età: in una stanza i "primi mesi", in un'altra i "6 mesi - 1 anno", in un'altra ancora gli "1 anno - 3 anni" e, in fine, i più "grandi". Gli spazi sono abbastanza ben curati e un po' di "mamme" si prendono cura di loro. Proprio mentre passiamo davanti al refettorio, escono una ventina di nanetti che si dirigono da soli verso i bagni, si spogliano completamente prima di entrare e poi aspettano di essere lavati...il pasto ha lasciato segni visibili in ogni parte del loro corpicino e l'igiene è importante! Dopo cena andiamo a dormire, il giorno dopo ci aspetta il viaggio di ritorno! Ma la domenica, prima di partire, l'inevitabile messa di due ore e mezza...belle le messe africane, piene di balli e di canti...però se durassero la metà sarebbero ancora meglio!
Ci rimettiamo in macchina alle 11 e decidiamo di fare un'altra strada rispetto all'andata, più lunga ma più tranquilla: 430 km di cui 150 di uno sterrato accettabile.
Ore 18:30 siamo a casa...già, per la prima volta da quando siamo qui, ci sentiamo veramente a casa!