giovedì 30 maggio 2013

Aber - anno II - quarantacinquesima settimana

La povertà…una cosa per ricchi!

Questo titolo che vuole essere in parte provocatorio, nasce da una riflessione su un brano di Don Tonino Bello che parla di educazione alla povertà.
Assumendo come definizione di povertà la capacità di distacco dai beni materiali e la capacità di mettere il Bene davanti ai soldi (pur riconoscendo l’importanza di questi ultimi) direi che qui in Uganda, qui ad Aber di povertà ce n’è davvero poca.
La gente, la maggior parte almeno, fa di tutto per i soldi e per raggiungere una posizione (i conflitti sulla terra sono all’ordine del giorno, i litigi per la gestione dei soldi in famiglia sono tra le principali cause di violenza domestica, per la restituzione di 20000 scellini per la riparazione di un pezzo di una moto si arriva ad uccidere, per ottenere un posto di lavoro non ci si fanno molti scrupoli a vendere il proprio corpo, tante vocazioni all’interno della chiesa nascono per raggiungere una posizione di potere e comunque per poter maneggiare dei soldi).  
Mi sono interrogato su questa cosa e la risposta che mi sono dato è che ciò accade perché qui la gente soffre di miseria e non si può permettere di essere povera.
Il recente passato per tutti, ma anche il presente per molti, costringe la gente a ragionare in termini di sopravvivenza per sé, per la propria famiglia e per il proprio clan.
Quando una persona muore di fame, il suo spirito innato di sopravvivenza lo porta a fare di tutto per rimanere in vita; quando una persona vive nella più totale miseria la più piccola speranza di migliorare la propria condizione lo porta a fare le cose più impensate.
Questo credo succeda perché questa gente non è libera, è ancora schiava della fame, della miseria, della mancanza di diritti.
Chi è libero può scegliere, chi è schiavo no.
Buttando sempre un occhio anche al nostro mondo, ti accorgi poi che anche da noi si fa di tutto per il potere, per il successo, per arrivare (chissà dove poi!). Noi abbiamo però meno scusanti perché non è la sopravvivenza che ci spinge ma la smania per il di più, la smania per il troppo.
E allora ecco il titolo provocatorio…i ricchi (NOI) possiamo scegliere la povertà. Questa è una grossa responsabilità.
Dovremmo ringraziare di avere abbastanza per poter scegliere, dovremmo ritenerci fortunati di essere liberi, dovremmo essere grati di poter pensare al bene senza l’assillo di dover riempire la pancia, dovremmo capire nella nostra vita quanto è bello e importante “innamorarsi di Madonna Povertà”

giovedì 23 maggio 2013

Aber - anno II - quarantaquattresima settimana

Incontro LMC Uganda 2013

Da domenica 19 a mercoledì 22 si è svolto l’annuale incontro dei laici comboniani che operano in Uganda. Quest’anno eravamo in 14 (di cui 12 ugandesi, un italiano e una polacca) su un totale, attualmente, di 27. Purtroppo la prima causa di queste defezioni sono certamente gli spostamenti che non sono sempre facili e che per molti risultano essere costosi.
Ad accompagnarci c’era inoltre Padre Sebhat che dall’anno scorso è il responsabile degli LMC (Laici Missionari Comboniani).
L’incontro si è svolto a Kampala nella comunità dei laici. Per un verso è stato più bello dell’anno scorso perché eravamo in un posto “nostro” (dei laici appunto) ma dall’altro questo ha creato un po’ di vai e vieni da parte di chi, abitando a Kampala, non si è riuscito a staccare totalmente dai quotidiani impegni.
I 27 laici sono distribuiti sul territorio nazionale in 5 principali gruppi: Kampala e dintorni (12), Lowero e dintorni (5), Aber (2), Gulu e dintorni (4) e Matani e dintorni (4).
L’inizio è stato molto…africano nell’accezione di “non organizzato”. Infatti, quando sembrava essere tutto ormai pronto per iniziare, ci sediamo tutti, prende la parola il coordinatore e cosa dice? “ok, stendiamo il programma dell’incontro”!!! Io, Dana (la polacca) e in verità anche il padre che è eritreo, ci guardiamo stupefatti e anche senza parlare ci comunichiamo una sensazione di stupore e in parte, per essere onesti, di fastidio. Poi però fortunatamente padre Sabhat dall’alto della sua esperienza in queste cose smorza la tensione dicendo “Beh, meglio così…non bisogna costringere la potenza e l’ispirazione dello Spirito in programmi troppo rigidi…meglio improvvisare un po’”…e forse ha ragione! In effetti poi l’incontro è stato ricco di spunti e di importanti condivisioni.
E proprio di Spirito si è parlato (anche perché eravamo ancora in aria di Pentecoste). Nel primo giorno e per metà del secondo l’incontro si è svolto in stile ritiro. Padre Sebhat ci dava degli spunti (“cosa o chi è lo Spirito Santo per noi”, “cosa vuol dire avere lo Spirito comboniano” e “lo Spirito come “collante” della famiglia comboniana e più in generale della Chiesa nelle sue diverse espressioni”) poi c’era un po’ di silenzio e poi la condivisione. Nella seconda metà dell’incontro si è invece tenuta l’assemblea generale (discussione e rivisitazione dei progetti in atto e nuove elezioni dello staff di coordinamento nazionale).
E’ stato interessante vedere come per esempio alcuni progetti sono simili ai nostri o sarebbero in qualche modo realizzabili anche da noi (come l’essere inseriti in una scuola, gestire delle attività in stile centro giovani, fare attività nelle parrocchie) mentre altri risulterebbero un po’ più strani dalle nostre parti (per esempio avere una porcilaia o allevare delle caprette).
Sia durante il tempo dedicato al ritiro che durante quello per l’assemblea, gli aspetti più importanti sono stati da una parte l’incontrarsi e lo scambiarsi le esperienze e i tentativi fatti per cercare di declinare nella propria realtà cosa vuol dire mettersi a disposizione degli ultimi e dall’altra… conoscersi, ridere, scherzare e rilassarsi!
L’incontro si è concluso con un arrivederci all’anno prossimo…con la certezza di essere parte di un gruppo in cammino e con la speranza di riuscire a tenere sempre viva e attuale la profezia di Daniele Comboni.
Tra le Piccio-foto qualche scatto in più fatto durante questi tre giorni.

mercoledì 15 maggio 2013

Aber - anno II - quarantatreesima settimana

Kampala: Speranza o condanna

Settimana scorsa sono stato a Kampala per sbrigare alcune pratiche.
Ogni volta che mi capita di andare in capitale ho sempre sensazioni discordanti: per la maggior parte sgradevoli, alcune positive.
Kampala, come credo tutte le metropoli del sud del mondo è, per dirla con una parola sola, assurda. Avrei potuto dire contraddittoria ma sarebbe stato troppo poco, Kampala è assurda.
E’ assurda innanzitutto la contrapposizione tra ricchezza e povertà, ma è assurda anche la coesistenza di arretratezza e modernità, di scarsità di mezzi da una parte e di moderna tecnologia dall’altra.
Per assurdo (appunto) sembra più normale il villaggio soprattutto perché ad Aber, per esempio, c’è molta meno giustapposizione tra ricchezza e povertà.
A Kampala fa senso vedere un’infinità di bambini di strada dormire su degli scatoloni sul marciapiede che costeggia un lussuosissimo campo da golf; fa specie vedere una mercedes ultimo modello poter sfilare solo su 4 o 5 strade principali perché tutte le altre hanno buche talmente grandi che sono percorribili solo da Jeep o boda-boda (moto-taxi); è strano camminare sul bordo della strada e avere a sinistra la fogna a cielo aperto e a destra la villa superlussuosa del politico di turno; è rammaricante vedere la gente in giro con le jerrican perché solo pochi hanno il lusso di avere l’acqua in casa, tutti gli altri devono comprarla a caro prezzo dal boss della zona.
Le prime cose che costruivano i romani erano strade e fognature…qui non ci sono ancora (o sono un’eccezione) ma nello stesso tempo c’è un rivenditore LG che vende schermi al plasma da 21000$ (io ero entrato solo per comprare la cover di un cellulare…non pensate male!)
Tutto ciò e molto altro ancora, rendono Kampala veramente sgradevole alla vista.
Poi la mia mente vola in Italia e penso che anche in Piazza Duomo i senzatetto dormono davanti alla vetrina di Versace o che non è raro vedere un poveraccio al semaforo allungare la mano verso il finestrino rigorosamente chiuso di una mercedes. Anche da noi c’è gente che fa la fila alla mensa del povero e altri che invece aspettano il cameriere al tavolo sfogliando il menù di un costosissimo ristorante.
La differenza penso che stia nelle percentuali di popolazione “classificabili” come ricchissimi, ceto medio e poveri o poverissimi.
Giusto per dare un po’ di numeri a caso (non ho fatto alcuna ricerca ma è solo la conversione in numeri di una sensazione provata a pelle) potremmo dire che se in Italia le rispettive percentuali di persone rientranti nelle tre categorie soprariportate fossero 1%, 85% e 14%  in Uganda questi dati potrebbero essere 2%, 20% e 78%.
Ciò che è più deprimente e preoccupante per il futuro è proprio questo. Mentre da noi il ceto medio è comunque ancora la maggioranza, qui la stragrande maggioranza è poverissima e vederla accostata a quella percentuale di super ricchi è molto fastidioso.
Il positivo di Kampala è che comunque offre quantomeno la possibilità a tutti di vedere, di entrare in contatto con una realtà diversa da quella del villaggio che invece rende spesso ciechi e non stimola prospettive diverse da quelle attuali.
La speranza è naturalmente che la proporzione tra queste percentuali piano piano cambi…magari per una gestione oculata del potere e delle ricchezze, magari (e secondo me più probabilmente) per la voglia di riscatto che può nascere dal basso, stimolata dall’insofferenza nel convivere in una disparità vergognosa che priva dei diritti fondamentali la maggior parte della gente e mantiene uno stato di scandalosi privilegi per una classe dirigente spesso corrotta.

giovedì 9 maggio 2013

Aber - anno II - quarantaduesima settimana

...non sai chi è Anton???

Come molti di voi sanno il Piccio si dedica ormai ad innumerevoli attività per le quali vi rimando al post “Varie ed eventuali”. Questo comporta sicuramente una grande ricchezza di relazioni e di esperienze...ma a volte anche qualche situazione un po' strana...ora ve ne racconto una in mezzo alla quale mi sono trovata.
Come molti sanno Marco ha seguito la ristrutturazione dell'asilo parrocchiale. Arrivati al momento di dover dipingere le pareti ha cercato qualcuno che potesse fare dei disegni sui muri (il logo dell'asilo, l'alfabeto ecc...). Gli parlano di un tale Denis, ragazzo del Saint Clare che ora frequenta la secondary school a Lira e che sembra essere un promettente pittore. Il Piccio da bravo impresario si procura un contatto telefonico e si accorda con Denis per incontrarsi a Lira e discutere i dettagli del lavoro.
Quel giorno io e Atim abbiamo la fortuna di trovarci sull'auto e di assistere alla sit-com.
Vi abbiamo già raccontato molte volte che in Africa quando si viaggia non si sa quando si parte, in quanti, quante tappe si fanno e quando si torna.
Ma quel giorno abbiamo scoperto che non si sa neanche chi si carica...
Per ragioni che non sto a spiegarvi perché non conosco, quella mattina arriviamo a Lira e parcheggiamo nel cortile di una secondary school. Marco chiama Denis e si accordano: fra un quarto d'ora all'ufficio postale. Fa per risalire in macchina ma un ragazzo gli si avvicina e lo saluta dicendo qualcosa del tipo “Eccomi qui!”.
Marco guarda il telefono, poi guarda il ragazzo:
“Ah, eri tu al telefono? Pensavo di trovarti all'ufficio postale”
“No sono già qui, ma devo andare all'ufficio postale per incontrarmi con un amico”
“Ok, sali in auto che mentre andiamo parliamo del lavoro che ti voglio proporre”
“Avrei la bici puoi caricarla in auto?”
“Lasciala qui poi ti riporto a prenderla”
“No preferisco portarla, così sfrutto il passaggio e magari dai un passaggio anche al mio amico”
“...proviamo...”
...Proviamo in avanti...poi in dietro...poi di fianco...alla fine la ruota anteriore si trova all'altezza della succlavia dell'Atim e Marco obietta: “Ma così il tuo amico non ci sta!”
Ma l'Atim da dentro l'auto svela tutta la sua indole africana “Ma si! C'è ancora posto!”.
Bene: la Rav4 si avvia con perplessità.
Ora per i pochi che non lo sapessero faccio presente due peculiarità del Piccio: la prima è che non sta mai in silenzio per più di trenta secondi, deve sempre dire qualcosa anche solo qualche parola di circostanza. La seconda è che non si ricorda i nomi.
Per cui dopo 30 secondi di marcia sugli sterrati di Lira esordisce:
“Allora David! Come va la scuola?”
“Non sono David”
Io lo apostrofo: “Si chiama Denis”
“Ah scusa Denis!”
“Non sono Denis. Sono Anton.”
Ci guardiamo.
Il Piccio (in Italiano) “Anton? Anton?? Ma chi c.... è Anton???.
(in inglese) “Non sei Denis, il pittore, che deve fare i disegni all'asilo di Aber”
“No”
“Non sei un pittore?”
“No, io non so disegnare”
“Ma ho sempre parlato con te al telefono pensando che fossi Denis”
“Denis è un mio amico, ma ha il telefono rotto e così ti ha dato il mio numero”
“Ma allora Denis ci sta aspettando all'ufficio postale?”
“No”
“E allora dov'è Denis?”
“Non lo so. Non lo vedo da un pezzo."
“In pratica tu mi dici che non sei Denis, non sai dov'è Denis e non sai nemmeno disegnare?”
“Esatto”
Come immaginerete io e Atim abbiamo le lacrime agli occhi dal ridere e stiamo già schernendo il Piccio e aspettando di vedere come salta fuori dalla commedia degli equivoci.
“Se è così, mi spiace, ma ti devo lasciare qui”
Entra nel parcheggio di un benzinaio e scarica Anton con la sua bici. Quest'ultimo affatto offeso, anzi alquanto divertito al vedere l'affaccendato e sprovveduto msungu (...fra l'altro deriso da due donne...) ringrazia per il breve passaggio e ci saluta.
“...ah Anton...se vedi Denis salutamelo...”
Almeno ora sappiamo chi è Anton...

mercoledì 1 maggio 2013

Aber - anno II - quarantunesima settimana

Inter-campus è…correre insieme!

Da venerdì a domenica scorsa abbiamo avuto come ospiti niente poco di meno che…l’INTER!!! Già, dopo l’assaggio che avevamo avuto ad Ottobre scorso, quest’anno abbiamo potuto assaporare in prima persona la gioia di ospitare l’Inter ma soprattutto di incontrare dei ragazzi che credono in quello che fanno, ci mettono il cuore (oltre che le competenze) e indubbiamente portano sprazzi di gioia e serenità che non cambiano la vita ma la arricchiscono sicuramente.
E’ stata un’esperienza breve ma intensa e che ha coinvolto buona parte della comunità di Aber:
la scuola: i progetti Inter Campus, come già dicevo ad ottobre, riguardano soprattutto i ragazzi e i professori della primary school. Così, appena arrivati, Massimo,  Alberto e Silvio sono stati osannati e portati in processione (neanche fossero San Siro, Sant’Ambrogio e la Madonnina visto che vengono da Milano) da una folla entusiasta di ragazzi e ragazze che li ha scortati dalla “main-road” fino alla scuola con dei cori e con una coreografia degni della Curva Nord! A questo punto  sono stati “intronizzati” su poltrone traslocate per l’occasione ai bordi del campo di calcio direttamente dalle case dei professori! Successivamente si sono alternati: i canti di benvenuto, gli immancabili discorsi per non venir meno alla proverbiale formalità ugandese, le reciproche presentazioni e, per finire, le note di “pazza-Inter” con tanto di balletto e accenni di parole in italiano da parte dei ragazzini di Aber  che hanno emozionato tutti i presenti!  
Il giorno seguente è iniziato con uno dei momenti più entusiasmanti per i ragazzi e cioè la distribuzione delle magliette e dei pantaloncini ai 64 ragazzi/e coinvolti/e per adesso nel progetto. Dopo aver ritirato la divisa dalle mani di Alberto e Silvio, scomparivano dietro un muro per ricomparire dopo qualche minuto in tinte nerazzurre e soprattutto con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Poi, pronti via, in campo per iniziare l’allenamento…in un attimo sono le 12 (orario previsto di fine sessione) ma non importa, è tanto il divertimento (e la passione degli allenatori) che si va avanti fino all’ una passata. Breve pausa e poi ancora tutti in campo questa volta per un torneo che, se possibile, fa ancor più entusiasmare i ragazzi. Il tutto si conclude con la consegna di un piccolo ricordo da parte della scuola ai nostri ospiti, con una promessa di rivederci ad Ottobre e con una raccomandazione per i ragazzi che potranno ancora far parte del progetto solo se continueranno ad impegnarsi nel frequentare la scuola cercando di dare il loro meglio non solo mentre giocano a calcio ma anche quando sono tra i banchi…scopo di inter campus è infatti aiutarli a crescere come calciatori ma soprattutto come persone.
Il St.Clare: l’orfanotrofio è stato coinvolto sia perché circa una quindicina dei ragazzi ha fatto parte del progetto sia perché lo staff di inter campus ha dormito nella guest house del  St.Clare. La sistemazione era sicuramente molto bella ma ciò che più ha colpito ed emozionato è stata la festa di benvenuto che i ragazzi hanno organizzato per i nostri graditi ospiti. Sabato sera si sono infatti esibiti in danze tradizionali, canti, musiche e brevi scenette per farsi conoscere da un lato e per accogliere e far sentire a casa i visitatori dall’altro.
Casa nostra: in fine anche casa nostra ha avuto la fortuna di aprire le porte all’Inter. E’ stato un piacere poter condividere pranzi, cene e la nostra quotidianità ma anche potersi confrontare con un mondo che il più delle volte lo consideriamo essere di un altro pianeta divinizzandolo o demonizzandolo a seconda dei casi. In realtà, almeno in alcuni suoi aspetti, può racchiudere ideali e valori anche molto vicini ai nostri.
Guardando fuori dalla porta mentre vi scrivo si vedono già i primi effetti del passaggio di questo cataKlinsmann (questa la capiscono solo i tifosi di vecchia data) nerazzurro...il Franci e il Samu stanno giocando passandosi la palla coi piedi…anche questo è inter campus!
Grazie Inter per aver entusiasmato questi ragazzi e per aver messo un po’ di azzurro in questa realtà per molti versi spesso troppo nera…grazie amici, vi aspettiamo ad Ottobre.
Qui a fianco, nelle piccio-foto, potete ripercorrere alcuni momenti della due giorni di Inter-Campus Aber