giovedì 28 marzo 2013

Aber - anno II - trentaseiesima settimana

Accogliere

Domenica scorsa, durante la Messa della domenica delle palme che abbiamo celebrato a Matani (Karamoja), mi veniva una riflessione a proposito dell’accoglienza. Pensavo che la domenica delle palme dovrebbe avere un valore e dovrebbe essere sentita come una festa più importante del Natale. Questo perché accogliere un bambino, accogliere un innocente, accogliere qualcuno che non si è ancora esposto pubblicamente insomma accogliere qualcuno che non ci da fastidio,  è più facile. Accogliere un neonato vuol dire accogliere un corpicino e celebrare il dono della vita ma accogliere una persona vuol dire accogliere le sue idee, accogliere i suoi difetti, accogliere ciò che di lui non comprendiamo o non condividiamo. La folla che ha accolto Gesù a Gerusalemme è una folla che gioisce per un uomo che ha fatto una scelta radicale, che esulta per qualcuno che ha deciso di rimanere coerente alla sua missione fino alla fine, che osanna una persona che dava fastidio alle istituzioni, che porta come trionfatore l’umile condannato a morte dal potere.
Ma quanto difficile è accogliere nella sostanza e non nella forma! Sventolare palme in modo anonimo tra la folla, cantare quando si è una delle mille voci del coro può essere bello e importante, ma quanto più difficile è mantenere fede alle proprie idee quando siamo interpellati personalmente, quando dobbiamo esporci a nostro rischio e pericolo.
E allora ecco i nostri piccoli o grandi tradimenti… a volte possono essere 30 denari a tentarci, altre volte la paura di andare contro i forti o contro la massa fa cambiare il nostro “Osanna” in “crocifiggilo”, in altre circostanze, interrogati in prima persona, non sappiamo far altro che rinnegare noi stessi e ciò in cui abbiamo creduto fino a poco prima e solo quando sentiamo il canto del gallo capiamo e ci sentiamo dei vigliacchi.
Credo che più o meno le stesse cose si possano dire per i nostri progetti o per le persone che incontriamo. All’inizio può sembrare tutto bello e facile soprattutto perché abbiamo già in mente noi come si svilupperà perché Lui (il progetto o la persona in questione) non si è ancora espresso. Poi però (fortunatamente…soprattutto nel caso di Gesù) le cose non vanno come le abbiamo in mente noi (un Dio forte, un Dio potente, un Dio giustiziere). Questa non deve essere una sconfitta e non ci deve portare alla rassegnazione o a lasciarci tentare da altro o a farci assalire dalle paure ma anzi ci deve interrogare e far crescere. Come nel caso di Gesù…può darsi che quella sia la volontà di Dio, così diversa da come ce la aspettavamo e da come l’avremmo voluta…ma così giusta e così vera al tempo stesso. Quando qualcosa va diversamente da come ce la aspettavamo…non buttiamo tutto alle ortiche, piuttosto rimettiamo in discussione noi stessi…quale miglior metafora della morte (l’abbandono delle nostre certezze) e della resurrezione (accoglienza del volere di Dio).

E allora auguri…perché qualsiasi progetto stiate portando avanti siate pronti ad accoglierlo qualunque forma esso prenda…questo è il vero esercizio dell’accoglienza…e solo attraverso questo esercizio diventiamo capaci di accogliere i segni e la volontà di Dio senza imporre la nostra. 

(foto in homepage per gentile concessione di Miki e Samu)

giovedì 21 marzo 2013

Aber - anno II - trentacinquesima settimana

Comboni sister: il coraggio della tenerezza
Domenica scorsa abbiamo partecipato con grande gioia al 25° anniversario dei voti di Sr. Dorina.
E' stata una bella festa...naturalmente in stile africano! Si è svolta a Gulu e più precisamente presso il comboni samaritan, ossia un centro in cui hanno sede molti progetti rivolti in particolare alle donne malate di HIV e/o in qualche modo vittime della guerra terminata pochi anni fa.
Più che della festa o di suor Dorina in particolare, vorrei parlare della figura delle suore comboniane e dell'importanza che stanno avendo nella nostra esperienza. Per sintetizzarla con poche parole...direi che sono un buon surrogato delle nonne! Senza voler offendere le une (le sister) e le altre (le nonne), lasciatemi dire che almeno alcune delle prime hanno qualche primavera in meno delle seconde e lasciatemi precisare che le nonne vere sono insostituibili! Fatte queste premesse doverose, dobbiamo però dire che, veramente, quando si va dalle sister è sempre un po' come sentirsi a casa delle nonne...sei sempre il benvenuto...sei sempre super coccolato e viziato...ai bimbi è concesso fare tutto (e non ti permettere di rimproverarli)...c'è sempre una torta pronta...è sempre tutto super ordinato...ti puoi dimenticare di avere due figli perchè ci sono delle babysitter più che affidabili! Che tu vada a Gulu o a Lira, a Kangole o a Namugongo, ad Aboke o a Mbuia...troverai certamente visi sorridenti, braccia aperte per abbracciarti, una parola di sollievo o un consiglio prezioso su come affrontare un problema. Come abbiamo detto più volte, forse le difficoltà maggiori stando qui sono la mancanza di relazioni profonde e la ripetitività di tutti i giorni uguali a loro stessi...dalle sister entrambe queste mancanze vengono di colpo colmate e la sensazione è proprio quella di prendere una boccata di ossigeno, di rifiatare prima di rigettarsi nella mischia! Poi spesso iniziano i loro racconti delle esperienze vissute in 15, 20, 25, 30 o 40 anni di missione, durante guerre o durante carestie, sotto i peggiori dittatori o tra bande di ribelli che ogni giorno avrebbero potuto mettere a repentaglio la loro vita. Ciò che fa ancora più specie è che il tutto non esce dalla bocca di un omone forte e robusto ma dalle labbra di donne minute e in apparenza fragili ma che in realtà hanno una fede, un coraggio e un amore per gli ultimi da fare invidia a chiunque. Noi siamo qui da un anno e mezzo e le paure sono tante, gli scoraggiamenti frequenti, le arrabbiature con la gente del posto quotidiane...ma dove la troveranno la forza per dedicare tutta una vita alla missione?
Sarebbero veramente tante le sister da ringraziare una per una ma decidiamo di farlo raccontandovi molto brevemente le storie di 3 di loro che abbiamo “incontrato” ad Aboke. Forse sono persone non molto note ma che, in modo diverso, hanno incarnato il carisma comboniano e che, nel silenzio, hanno rivoluzionato il mondo intono a loro.
1. Madre Maria Bolezzoli: E' stata la prima superiore generale delle suore missionarie Pie Madri della Nigrizia. Non è mai partita per la missione ad-gentes (con buona pace di tutti quelli che sostengono che la missione in stile comboniano si fa solo lontano dall'Italia). Prima di iniziare questa esperienza con le suore comboniane era già una laica consacrata. Comboni le chiese di aiutarlo con la congregazione delle suore che stava iniziando anche se lei non aveva mai avuto la vocazione ad essere missionaria. Fu molto importante nella nascita della congregazione soprattutto dopo la morte del fondatore.
2. Sr. Giuseppa Scandola: Semplice suora molto dedita alla preghiera. Ormai giunta in la con l'età ma ancora in salute, una sera dopo aver visitato un giovane fratello molto malato e arrivato in punto di morte, ha iniziato a pregare perché la malattia si trasferisse su di lei ormai anziana e lasciasse vivere il giovane ragazzo. Il giorno seguente Sr.Giuseppa morì e il ragazzo improvvisamente guarì da quella malattia incurabile. E' attualmente in corso la sua causa di beatificazione in Vaticano
3. Sr. Teresa Grigolini: Insieme ad altre sorelle e ad altri fratelli, è stata tenuta prigioniera per 10 anni durante la rivoluzione di Mahdia in Sudan. Forzati dai guerriglieri a sposarsi tra di loro (e ad avere figli come prova della loro unione) si sacrificò, in qualità di superiore della comunità per conservare la consacrazione di tutte le altre sorelle. E' ricordata per il suo sacrificio paragonato al martirio.
Non so se raggiungeranno il paradiso per le buonissime torte che ci preparano o per il coraggio che hanno di vivere lo straordinario dono della tenerezza (come ricordava anche Papa Francesco) ma quello che so è che le sister comboniane ti rendono orgoglioso di essere parte della famiglia comboniana.

Grazie titter (come le chiama Francesco)
(se volete saperne di più: www.comboniane.org)

mercoledì 13 marzo 2013

Aber - anno II - trentaquattresima settimana

Atim-Uganda
 
Questa settimana piccio-uganda diventa Atim-Uganda...un binomio che risale a molti anni fa, un binomio sempre nuovo. Atim è stata con noi un po' più di un mese dandoci la possibilità di aprire la porta ed accogliere...esperienza che, come sempre, ti regala molto più di quanto tu possa dare...grazie a te Atim! 
 
Parlare di questo viaggio in Uganda è particolarmente difficile. Sono nata in Uganda e ci ho vissuto quasi 5 anni della mia infanzia in due periodi diversi. Torno in Uganda dopo 10 anni. Trovo un’Uganda diversa e una Maria Grazia e un Marco che non conoscevo. O meglio li conoscevo eccome, ma ne scopro caratteristiche che non sapevo essere loro.
Partiamo dal soggetto più semplice: l’Uganda. Vedo la differenza. Vedo che è un paese in pace. Verso sera, quando inizia il crepuscolo, non si vedono più decine e decine di donne e bambini in fila indiana con le proprie stuoie sotto braccio e le poche masserizie sulla testa andare verso la missione più vicina, l’ospedale più vicino. Cercare un posto sicuro per passare la notte al riparo dai ribelli e dai soldati, per evitare che i bimbi vengano rapiti e trasformati in bambini soldato (in alcune missioni si sono contate 16.000 persone a notte: un esodo). Ora si trovano serenamente davanti a negozietti e bar a chiacchierare e prendere il fresco. La notte non fa più paura.
In città ci sono molte più attività, negozi, più mezzi per strada (macchine e moto)…..prima tutti a piedi al massimo in bici. In giro c’è anche più spazzatura..segno anche questo di benessere (purtroppo) e che non proprio tutto ora c’è la necessità di riciclare. Maria Grazia mi dice che il morbillo nei bimbi non è più un’emergenza. Nel 2003 al Lacor c’era un reparto intero dedicato ai morbilli dei bimbi che morivano come mosche, risultato dell’instabilità politica (che porta a malnutrizione, impossibilità di eseguire campagne vaccinali, affollamento nei campi profughi senza nessuna parvenza di norma igienica).
Le persone però, a sentire “i bianchi” che sono qua, ne sono ancora segnati nel profondo: diffidenti, egoisti, poco solidali l’uno con l’altro, si cerca di fare solo il proprio interesse, anche se questo vuol dire rubare sul posto di lavoro. Il taxista che mi ha portato in aeroporto ha sintetizzato bene variando il motto ugandese “for God and my country” in “for God and my stomach”….chissà quante generazioni dovranno passare ancora.
Maria Grazia. Mi ha stupita. Tanto. Con Grazia ho lavorato nei nostri anni di specialità a Parma (contesto molto diverso). Ha sempre preteso che il personale sanitario (infermieri, oss, medici) facesse bene il proprio lavoro, con serietà, efficienza, velocità, rapidità. Conoscendo già un po’ il mondo degli ospedali in Uganda ero curiosa di vederla all’opera. Non avrei mai pensato che avrebbe “fittato” così bene con il personale qui. Non trovo altro termine, perché non è un adattarsi. Avrei potuto perdere una scommessa se qualcuno mi avesse sfidato. Ha compreso quali sono i loro limiti. Dal personale non pretende cose che loro non sono in grado di dare. Cerca di fare quello che può con i mezzi (economici ed umani) che ha. Di fronte ad un’emergenza non va in escandescenza (come io farei) se non scattano tutti come soldatini; sa che con i loro tempi le cose verranno fatte (quasi sempre). Non si è buttata a cambiare le cose come un elefante in cristalleria ma cerca di migliorarle con piccoli passi ogni giorno.
Marco. Marco qui solo da un anno e mezzo sembra un missionario in Uganda da anni. Li conosce. Si è impastato con loro in un’amalgama unica. E’ entrato nel profondo della loro vita e dunque non si scompone per nessuno strano episodio (e qui ne capitano tanti). Lo cercano diecimila persone al giorno e lui non si spazientisce mai. Non è neanche un illuso. Sa che può “essere usato” in ogni momento, ma questo non gli impedisce di farsi coinvolgere in centomila progetti diversi.
Voglio ringraziare la famiglia intera per l’ospitalità. Si sono privati della loro privacy per 40 lunghi giorni per ospitarmi. Qua non è come da noi; siamo nella stagione secca, c’è caldo: porte e finestre delle stanze sono necessariamente sempre aperte. Ho vissuto dunque in simbiosi con loro e questo non mi è mai stato fatto pesare. Grazie di cuore!
Siete a metà della vostra esperienza, può esserci stanchezza, può iniziare lo scoramento…….tenete duro, state facendo un buon lavoro.
Atim

giovedì 7 marzo 2013

Aber - anno II - trentatreesima settimana

INNOVAZIONE: persone, saperi, strumenti e visioni che realizzano oggi i mondi di domani
Questo è il titolo del concorso fotografico in cui, per caso, mi sono imbattuto cercando nel web. La prima idea è stata che qui ad Aber non avrei trovato nulla di pertinente a questo tema. Le persone sembrano bloccate dalla paura di un ritorno del recente passato; i saperi sono molto scarsi per quanto riguarda l’istruzione e vetusti per quanto riguarda le conoscenze per esempio in ambito agricolo; gli strumenti risalgono all’epoca pre-rivoluzione industriale; le visioni infine, a volte ci sono ma, soprattutto in ambito religioso, sono legate ad un Dio-provvidenza che agisce da solo senza l’intervento e l’impegno dell’uomo per cambiare le cose. Per tutte queste ragioni mi ero quasi scoraggiato dal partecipare al concorso, ma poi ho provato a sfogliare le foto fatte in questo ultimo anno e mezzo ed effettivamente, forse, c’è spazio per individuare qualche cambiamento o, quanto meno, delle direzioni da seguire per innovarsi e per fare il proprio cammino verso la giustizia e la vita piena.
Qui di seguito trovate le descrizioni alle foto con cui ho partecipato al concorso precedute dal numero che gli è stato attribuito e che potete (ANZI DOVETE!!!) votare dal seguente sito (per votare bisogna avere un account Facebook):

I219: Persone-L'orgoglio e il protagonismo femminile. Donna: qual è il tuo nome? Coraggio, costanza, pazienza, voglia di vivere, fierezza, tenerezza, fecondità, tolleranza e altro. La salvezza dell'Africa passerà certamente dal cuore e dalle mani della donna (queste ragazze sembrano quasi uscire dalla foto per prendersi i propri diritti). L'innovazione sta nel mettere la figura femminile al centro
I220: Saperi-Sforzarsi per raggiungere i propri diritti, l'istruzione prima di tutto. Istruzione: in Uganda è ancora lontana dall'essere un diritto universale. Spesso non è accessibile e quando lo è la qualità è molto bassa. Sicuramente educazione e istruzione sono tappe verso la vera libertà (la ragazza si sta allungando per riuscire almeno a sfiorare un diritto...nel logo della scuola c'è scritto: education is power!). L'innovazione consiste nell'investire sui giovani per il futuro e non pensare solo all'oggi.
I221: Strumenti-L'umiltà e il duro lavoro. Il lavoro: l'innovazione sta nel vedere il lavoro come un "offrire le proprie competenze per il bene comune" più che come un "raggiunta questa posizione cerco di trarne il maggior profitto per me e per il mio clan" (la ragazza sta "ventando" i fagioli per preparare la cena per suoi amici dell'orfanotrofio St.Clare).
I222: Visioni-Grandi ambizioni e fiducia in se stessi. Il coraggio di osare: non accontentarsi di sopravvivere ma avere il coraggio di vivere pienamente. Puntare in alto, puntare alla giustizia (questi ragazzi portano sulle loro spalle un grande peso…il futuro del loro paese). L'innovazione sta nel vedere oltre la paura e la stanchezza che vent'anni di guerra hanno radicato in questa gente.
I223: Visioni-La fede. Qualunque nome gli sia dia, è importante credere in un Dio-amore che continua ad indicarci la via per la gioia fatta di pace, solidarietà, sobrietà, giustizia, rispetto. L'innovazione consiste nel non ritenere la fede come cosa altra dalla vita quotidiana ma nel riportare i valori in cui si crede nel nostro vissuto
Certamente non vincerò il concorso fotografico, ma la cosa più importante è che questo Paese (e tutti gli altri presentati nel concorso da bellissime foto) cammini in questa direzione non perdendo mai la fiducia ma coltivando e cavalcando i segni di speranza.