mercoledì 27 agosto 2014

Aber - anno III - quarantacinquesima (e ultima) settimana

Pronti a partire…ancora!

Ci siamo…lunedì lasceremo Aber alla volta di Kampala e martedì avremo l’aereo per tornare in Italia “for good” come dicono da queste parti.
Il 23 Agosto 2011 per il primo post dall’Africa usavamo la stessa foto (in realtà centrata solo su Francesco e Angela) e il titolo era “pronti a partire”. Oggi, dopo tre anni, eccoci “pronti a partire…ancora!”.
Ci sentiamo un po’ lettori e un po’ scrittori di questo libro che è la nostra vita. E come quando inizi a leggere (o a scrivere) un nuovo capitolo di un libro entusiasmante e ben scritto ti puoi aspettare più o meno a cosa vai incontro ma è impossibile prevedere con esattezza cosa accadrà. E’ questo lo stato d’animo in cui ci troviamo. La nostra storia si è arricchita di molti episodi, molte avventure, molti volti, molti nomi che non potremo e non dovremo dimenticare se vorremo comprendere pienamente il significato del capitolo appena terminato e continuare a leggere (o scrivere) mantenendo quello spirito di sognatori come elemento costante della nostra biografia. Allo stesso tempo però dovremo cercare di rimanere aperti a quell’elemento di imprevedibilità proprio di chi sa di non essere padrone della propria vita e sa che, per viverla pienamente, si deve affidare e lasciarsi guidare.
In questi ultimi giorni sono soprattutto gli occhi ad essere spesso lucidi, ma il cervello e il cuore invece no, non ce la fanno a mantenere la lucidità: Gente che non vuole farti partire, gente che ti sta già aspettando con le braccia aperte; posti che non vorresti mai lasciare, posti che non vedi l’ora di rivedere; progetti terminati, progetti che stanno già prendendo forma; cibi che ti mancheranno, cibi di cui non vedi l’ora di strafogarti; ritmi calmi che presto rimpiangeremo, ritmi frenetici delle mille attività in cui abbiamo voglia di tornare a metterci in gioco! Che confusione…che meraviglia! Per tutto questo non possiamo far altro che ringraziare…TUTTI x TUTTO!
A questo turbinio di emozioni si aggiunge il dover scrivere questo ultimo post. Piccio-Uganda è uno strumento nato un po’ per scherzo ma che, col passare del tempo ha assunto sempre più un ruolo centrale nella nostra esperienza. Innanzitutto per noi, per aiutarci a riflettere e non perdere momenti e incontri che avrebbero altrimenti corso il rischio di scappar via senza lasciare il giusto segno. Inoltre ci ha permesso di amplificare la voce delle persone che incontravamo permettendogli di arrivare fino in Italia. Last but not least ci ha permesso di sentire la vostra vicinanza coi vostri commenti e con i vostri feed back che hanno fatto sempre un enorme piacere.
L’avventura è giunta al termine…se avessimo dovuto pensarla noi certamente non avremmo potuto pensarla così bella, così faticosa, così ricca, così emozionante. Fra una settimana avremo lasciato l’Africa fisicamente ma certamente ce ne porteremo per sempre un pezzettino nel nostro cuore. Grazie Africa.

Aber, 27 Agosto 2014 – Piccio-Uganda, passo e chiudo!

mercoledì 20 agosto 2014

Aber - anno III - quarantaquattresima settimana

Chi pianta datteri non mangia datteri

Non so se questo proverbio è vero, non so se una pianta di datteri impieghi veramente 100 anni a dare i frutti. Vero è, però, che quando ho sentito questa frase l’ho subito associata alla nostra esperienza africana. In modo particolare in questo periodo in cui più o meno giustamente si tirano le somme, in cui, più o meno giustamente si cercano di fare delle valutazioni, sicuramente questo detto può aiutare a fare delle considerazioni. Una prima domanda è: sulla base di quale parametri valutare un’esperienza del genere? I frutti che si possono vedere? La crescita personale? Umanamente si ricerca nelle frasi delle persone quella gratificazione di cui si ha bisogno: “se non fosse stato per te non staremmo studiando qui”; “Dr. Maria come faremo senza di te?”; “a un mese dalla partenza si pensa già alla nuova esperienza e invece tu sei ancora qui a partecipare a tutte le nostre riunioni”; etc.etc.
Sicuramente fanno piacere però vorrei proporre anche un altro modo per valutarsi, più umile e che non ambisce a cambiare il mondo ma piuttosto può aiutare noi stessi a migliorarci un pochino. Questa valutazione è fatta solamente di una domanda: ho dato il massimo? Se la risposta è sì, credo si possa essere soddisfatti, comunque. Anche se gli errori ci sono stati e anche se i cambiamenti non si vedono quello che mi devo chiedere è: Io ho dato il massimo, ho dato quello che ho anzi, quello che sono;  ho cercato di non dare spazio alle pigrizie, alle paure e alle arrabbiature oppure mi sono fatto prendere dallo sconforto nei momenti bui o mi sono adagiato sugli allori quando le cose andavano meglio? Ho messo sempre al centro l’altro, unico obiettivo del mio agire, cercando insieme a lui con perseveranza e testardaggine il bene comune? 
Tornando al nostro detto di partenza, credo veramente che sia più importante pensare a come ho piantato i datteri più che aspettarmi di vederne i frutti. Un conto è buttare il seme dove capita, un conto è studiare il terreno, ararlo, nutrirlo, amarlo e deporvi il seme mettendo in gioco tutte le conoscenze che si hanno. Poi può succedere che malgrado la mia buona volontà i frutti non appariranno mai ma non per questo sarà stato un fallimento. Altri impareranno dai miei errori: la stagione sbagliata, il terreno sbagliato, il seme messo troppo in profondità e soffocato. Oppure semplicemente ci saranno altre condizioni esterne che saranno più clementi e favorevoli.

Nel nostro piccolo anche noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio…confidando nei semi che ci erano stati dati e cercando di seminarli nel miglior modo possibile, confidando nel terreno che li accoglieva, confidando che le condizioni al contorno fossero favorevoli. A me i datteri piacciono…per fortuna cent’anni fa qualcuno ha pensato agli altri più che a sé stesso e ha  sperato nel futuro.

mercoledì 13 agosto 2014

Aber - anno III - quarantatreesima settimana

Tempo di cambiamenti?

Certamente quello che stiamo vivendo, per quanto ci riguarda direttamente, è un tempo che porterà dei cambiamenti. Fra meno di un mese saremo reimmersi nel mondo italiano con tutto quanto questo comporterà. Ma, guardandosi intorno, sembra che questi cambiamenti epocali non riguardino soltanto noi ma anche questa terra che ci ha accolto e ospitato per tre anni. Possiamo dire di essere stati testimoni di momenti cruciali per l’  “evoluzione” di questo Paese…alcuni di un’importanza rilevante, altri forse meno ma comunque degni di nota. Innanzitutto vogliamo condividere e sottolineare l'importanza dello svolgimento del primo gay-pride ugandese. Sabato 9 Agosto si è tenuta ad Entebbe la prima manifestazione nella storia di questo Paese a favore degli omosessuali. Al di là che si possa essere a favore o contrari a questo tipo di eventi, credo che sia indiscutibile che si tratti di un piccolo passo avanti verso una democrazia reale e non solo dichiarata. Come forse ricorderete, anche sulle pagine di questo blog avevamo accennato alla legge antiomossesuali che era stata proposta dal governo e che aveva suscitato lo sdegno di molti governi occidentali perché prevedeva pene tra le più repressive e severe al mondo. Il primo Agosto la Corte Costituzionale ha annullato tale legge e così è stato possibile svolgere questa parata. Il primo fatto positivo è che si sia potuta svolgere una manifestazione di opposizione senza che finisse con una repressione armata. Il secondo aspetto che apre all’ottimismo è che la gente si sia mobilitata per i diritti di una minoranza. In un Paese dove i diritti (istruzione, cure mediche, etc) non sono garantiti neanche alla maggioranza, credo che sia un esempio di lotta pacifica che lascia ben sperare. Passando ora ai cambiamenti più vicini a noi, di un impatto un filo meno rilevante per la democrazia del Paese ma certamente non trascurabili…siamo lieti di annunciare che: Tony ha un frigorifero e può quindi vendere birre fresche, la pompa di benzina di Loro non funziona più con la manovella ma con una pompa elettrica, in sala operatoria non ci si lava più con il detersivo dei piatti, ma con disinfettante e spugnette sterili monouso!  E dici poco!!! Forse per chi non è stato da queste parti è difficile comprendere pienamente l'impatto che questi cambiamenti possono determinare, ma certamente si può comprendere il piacere di andare a fare un aperitivo con una temperatura di 40° e trovare una birra fresca al posto di 66 cl di liquido alcolico caldo e gassoso; allo stesso modo non è difficile intuire il sollievo di recarsi dal benzinaio con la speranza di non doverci stare mezz'ora e dover vedere il malcapitato omino di turno dover sudare sette camice per farti 50000 scellini (meno di 15 euro, meno di 14 litri) di benzina! Infine, non sarà complicato neanche comprendere la rassicurazione che può dare ai medici (soprattutto quelli Mzungu) un'evoluzione, anzi una rivoluzione del genere in ambito igienico sanitario...ora quando si recano in sala operatoria per cercare di svolgere umilmente il proprio lavoro possono ottimisticamente sperare di non trasmettere qualche pestilenza da un paziente all’altro.
E allora perché mettere quel punto di domanda nel titolo? Perché i cambiamenti, per renderli positivi, veri e sostanziali (e non solo di apparenza), non devono rimanere sporadici, devono essere per tutti e bisogna saperli gestire. Così la manifestazione per i diritti non deve essere isolata e un contentino dato a quei 10/20 partecipanti ma il vero cambiamento verso una democrazia più vera va ricercato ogni giorno. Quando si acquisisce un privilegio (come l'elettricità) bisogna anche impararlo ad usare altrimenti possono essere più gli svantaggi che i vantaggi (guarda caso proprio con l'arrivo della corrente di linea, noi siamo rimasti senz'acqua e senza luce per tre giorni!!!). I valori che si riconoscono importanti per sé (come l'igiene in ospedale) devono diventare un diritto per tutti e soprattutto per chi è più debole...la speranza in questo caso è che a beneficiare della sterilità siano soprattutto i pazienti! 

E anche per quanto ci riguarda dovremo essere in grado di vivere il cambiamento logistico gestendo al meglio le nostalgie e le nuove sfide se vorremo veramente mettere a frutto ciò che l'Africa ci ha insegnato in questi tre anni. 

mercoledì 6 agosto 2014

Aber - anno III - quarantaduesima settimana

St.Josephine Bakhita: la nostra prima e indimenticabile scuola

Ed ecco che è arrivato (finalmente!?...di già!?) il nostro ultimo mese in Uganda.
Fra meno di trenta giorni saremo in Italia e inevitabilmente abbiamo iniziato la grande tournée delle feste d'addio! L'ultima fatica, soprattutto per me che sono allergica a tutte le feste. Ma fra le tante cose l'Africa mi ha anche insegnato a non oppormi all'inevitabile e a lasciare che alcune cose accadano senza spendere troppe energie per opporvisi.

Le feste in Uganda sono appunto una forza della natura inevitabile ed incontrollabile.
Si è iniziato oggi con la festa dell'asilo. Anche se le lezioni sono finite venerdì scorso, oggi i bambini sono andati a scuola per incontrare e salutare i loro amichetti Francesco e Samuel che presto torneranno in Italia...for good...!
I bambini hanno giocato insieme poi abbiamo rivisto alcuni filmati e foto e infine hanno cantato insieme qualche canzone.
Finalmente...circa all'ora di pranzo... è arrivato il momento della torta offerta dai guest of honour che i bambini hanno ricevuto stando tutti in fila in religioso silenzio...sotto il sole!
Dopo questa sudata ci voleva proprio un po' di rinfresco e così fra applausi scroscianti è arrivata una moto che portava ben otto cassette di bibite per un totale di 192 bottigliette di coca, fanta e affini!



Dulcis in fundo il momento delle foto! Prima di tutto cercare il posto migliore, non contro sole: peccato che sia mezzogiorno all'equatore! Si decide quindi di sistemare alcune sedie sotto un albero dalla larga chioma ad ombrello.

La famiglia Piccio deve essere ritratta con ciascuno degli insegnanti e poi tutti insieme e poi anche le cuoche e poi la famiglia di un insegnante e poi tutte le combinazioni possibili...neanche al mio matrimonio avevo dovuto fare tante foto!

Per fortuna la loro cerimoniosità così buffa ha sciolto un po' il nodo che avevo in gola a pensare che ce ne stiamo andando davvero e per sempre. Che diciamo davvero addio alla prima scuola dei nostri figli...e che scuola...

Chissà se il Franci e il Samu si ricorderanno del mary goes round mal bilanciato, dei seggiolini di ferro delle altalene con gli spigoli vivi, dello scivolo sotto il sole che ti scotta le gambe.
Chissà se ricorderanno di avere dato la caccia ai camaleonti o di quando la maestra scacciava il varano con il bastone. E  soprattutto chissà se ricorderanno i loro primi compagni di scuola con cui parlano perfettamente in Lango...spirito d'adattamento dei bambini...Jacob, Ezra, Ely, Manuela, Elvis, Ogwang, Otot, Obong Tony e tutti gli altri.
(Maria Grazia)

martedì 29 luglio 2014

Aber - anno III - quarantunesima settimana

ʿīd al-fiṭr 

La ʿīd al-fiṭr ( arabo ﻋﻴﺪ ﺍﻟﻔﻄﺮ) costituisce la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica.
Viene celebrata alla fine del mese lunare di digiuno di ramaḍān (e dunque il 1° di shawwal), come segno di gioia per la fine di un lungo periodo penitenziale. Letteralmente il significato dell'espressione araba è "festa della interruzione [del digiuno]". (wikipedia)

Lunedì scorso ho partecipato alla preghiera/celebrazione organizzata dalla comunità islamica di Aber. L’imam della moschea è una persona che ho avuto modo di conoscere bene durante questi tre anni e con cui ho anche collaborato in un paio di progetti. Così, quando gli ho detto che mi sarebbe piaciuto partecipare ad una loro preghiera, ha colto l’occasione per invitarmi a questa grande festa.
Pur non essendo molto numerosa, la comunità islamica di Aber è assidua nel ritrovarsi regolarmente nella moschea del villaggio costruita secondo lo stile delle capanne locali con tetto di paglia e pareti di fango.  
In questa occasione però, la celebrazione viene fatta all’aperto sia per motivi di spazio (naturalmente richiama un numero di fedeli molto più alto del solito) sia, mi spiegavano, per motivi di testimonianza e apertura verso tutti coloro che sono interessati a vedere ciò che si sta svolgendo in questa giornata speciale.
Quando arrivo alle 9, le stuoie sono tutte sistemate rivolte verso la Mecca e le prime persone hanno già iniziato la preghiera personale. Subito vengo accolto e invitato a sedermi.
Dopo pochi minuti arriva Mustafà (l’Imam) e inizia la preghiera comunitaria recitata in parte in arabo, in parte in lango e riassunta per me in inglese. Si alternano momenti di spiegazione del Corano e momenti in cui vengono ripetute insieme delle sure accompagnate da gesti di preghiera. Inoltre viene fatta una colletta che verrà distribuita subito dopo la celebrazione ad alcune persone particolarmente indigenti.
Al  termine della preghiera, ci si ritrova nuovamente per dare spazio questa volta ad un momento più di discussione e chiarimenti su alcuni dubbi di fede. Naturalmente sono emersi alcuni punti in comune con il Cristianesimo e alcune differenze ma, ancora una volta, è stato importante sentire e condividere come il vero messaggio di fondo sia assolutamente lo stesso per islamici e cattolici. Quando però, durante i saluti finali, una persona in modo semiserio mi augurava di convertirmi all’islam, mi è venuto spontaneo di rispondere che invece io non gli auguravo una conversione al cristianesimo ma piuttosto di cercare di essere un buon musulmano come noi speriamo di riuscire ad essere dei buoni cristiani.

Come tutte le feste che si rispettino, in qualunque religione del mondo, la conclusione è stata affidata ai baccanali! 

martedì 22 luglio 2014

Aber - anno III - quarantesima settimana

La torta mondiale

Come già condividevo in passato, il corso che sto tenendo alla scuola secondaria St.Mary di Aboke sulla missionarietà è una delle attività più interessanti che ho avuto la fortuna di portare avanti in questi tre anni. Non per voler essere ripetitivo ma ancora una volta devo osservare come la riuscita di un progetto è inversamente proporzionale alla quantità di soldi spesi. In questo caso…costo zero, coinvolgimento delle ragazze massimo! Sabato scorso questo percorso condiviso si è arricchito di un altro interessante capitolo. Il tema che stavamo trattando era “la condivisione” intesa a 360° e ho pensato di proporre come gioco per la condivisione delle risorse “La torta Mondiale”. Come forse molti di voi sapranno, La torta mondiale è un gioco in cui si rappresenta il mondo (servendosi di dati forniti da alcuni centri di ricerca per uno sviluppo sostenibile) mantenendo fedele il rapporto tra il numero di persone appartenenti ad un certo continente e la quantità di risorse per esse disponibili. Quindi, per fare qualche esempio, con un gruppo di 20 persone, 12 rappresenteranno l’Asia e avranno a disposizione 7 risorse (solitamente merende); 3 persone saranno l’Africa con 1 risorsa; 1 persona sarà il Nord America con 11 risorse; 2 persone l’Europa con 11 risorse e così via! Come gioco è molto ben pensato e da sempre molti spunti per discutere con i ragazzi…soprattutto perché i ragazzi-Africa e i ragazzi-Asia si vedono veramente privati delle loro gustose merendine!!! Fin’ora però mi era sempre capitato di proporlo in Italia, ma questa volta il contesto era diverso: lo proponevo in Africa, lo proponevo nella parte di Mondo che è vittima e non carnefice di questa situazione. Come avrebbero reagito?  Se di solito quando lo si fa dalle nostre parti, dall’analisi della situazione esce rammarico, dispiacere e un vago senso di colpa, questa volta speravo uscisse rabbia per la presa di coscienza di essere vittime di ingiustizie e voglia di riscatto. In effetti, nel momento in cui ho svelato cosa rappresentava quella situazione a gruppi in cui si trovavano c’è stato un attimo di imbarazzo e sorpresa. Imbarazzo da parte mia che da “bianco” mi trovavo a dire: “questa è l’Africa, questo gruppo siete voi. 1 biscotto per tre persone e in più vi do anche le carte vuote dei biscotti come rifiuti gettati dal resto del mondo”. Sorpresa da parte loro nel vedersi proporre da un “colpevole” un gioco del genere. Comunque, dopo questi primi attimi il gioco è andato avanti e sono uscite questioni interessanti. Purtroppo, rispetto a quello che avrei voluto, è emersa ancora troppa rassegnazione e senso di dipendenza dal così detto primo mondo però la speranza è che sia un pochino cresciuta quella consapevolezza che è la prima molla per far scattare la volontà di essere protagonisti del cambiamento.  Ecco alcuni episodi avvenuti durante il gioco che voglio portare alla vostra attenzione senza alcun commento:
 Una ragazza-Asia ha commentato “noi siamo fortunati ad essere in tanti, in questo modo possiamo dividerci i problemi”
Un’altra ragazza-Asia rivolgendosi al Nord America: “dovrebbero donarci un po’ di biscotti!”. Io intervengo facendo notare l’errore dell’usare la parola “donare” e sottolineo come: “Dovrebbero essere suddivisi diversamente i biscotti per giustizia, non per carità”
Nella fase in cui si chiede ai partecipanti di trovare delle soluzioni… una ragazza “emigra” dall’Africa, si sposta in Nord America e ci rimane.

Un’altra ragazza “emigra” dall’Asia, va in nord America, prende due biscotti, torna in Asia ma se li tiene per sé e non li condivide con gli altri asiatici.

martedì 15 luglio 2014

Aber - anno III - trentanovesima settimana


Ai confini del mondiale

Senza voler fare facili polemiche o cadere in luoghi comuni, ci riproponiamo di rileggere i mondiali appena finiti vedendoli con gli occhi di chi sta vivendo in una parte molto povera del Brasile. Marco e Valentina sono due missionari laici comboniani. Marco è giornalista e ha avuto la possibilità di fare una blog-cronaca della coppa del Mondo sul sito di Famiglia Cristiana. Dopo tanto tempo passato davanti alle televisioni per guardare le sfide tra i campioni, consiglio vivamente di ritagliarsi una mezz’oretta per leggersi i post che ci permettono di conoscere un po’ meglio alcune delle partite che il popolo brasiliano gioca quotidianamente e per tutta una vita. 
Grazie Marco e Valentina

Ecco il link al Blog di Marco: ai confini del mondiale

Vi ripropongo qui uno dei post che mi ha colpito maggiormente:

La donna che guarda le partite con Dio.
La signora Eunice guarda le partite del Brasile con suo figlio e con Dio. Già, questa donna sulla sessantina non si dimentica della presenza di “Lui” al suo fianco. E così ad ogni visita c’è qualcosa da imparare. Prima di quattordici figli, la signora Eunice vive oggi in affitto in una piccola casa fatta di tavole di legno a un centinaio di metri dalla nostra abitazione nel quartiere di Piquiá, città di Açailandia, Nordest del Brasile. Con lei ci sono tre figli: due escono la mattina per andare al lavoro e tornano verso le 17 o le 18, mentre l’altro, di una trentina d’anni di età e con un forte ritardo mentale, resta sempre con lei. 
Questa donna non si alza dalla sedia da una decina d’anni a causa di un ictus che l’ha lasciata con metà corpo paralizzato. Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi. “Dio si prende cura di me e non mi fa mai mancare niente”, ripete spesso anche in mezzo a una povertà materiale evidente. Ogni volta che passo di là con mia moglie, la signora Eunice ci chiede di leggere e commentare insieme il Vangelo del giorno. “Dio è sempre presente, è là - dice indicando il giardino di casa – e se potessi leggerei sempre la Bibbia”. Solo che non può, perché non è mai andata a scuola e nessuno le ha insegnato a leggere.
Eppure è chiaro che sta scrivendo il Vangelo con la sua vita. Con la sua fiducia incrollabile in un Dio che si prende cura di lei. Con la sua capacità di crescere i figli e di accogliere con un sorriso tutto sdentato chiunque le faccia visita. Nel modo in cui ha imparato ad affrontare le gioie e le sofferenze che la quotidianità non le fa mai mancare. Qualcuno con tanti studi sulle spalle dice che si tratta di una fede piuttosto “semplice”, “immatura”. Personalmente sento di avere bisogno di mettermi sui banchi di scuola della signora Eunice. Per imparare anch’io, un giorno, a guardare le partite con Dio.

L’immagine di copertina è un graffito di Paulo Ito comparso per le strade di San Paolo.

giovedì 10 luglio 2014

Aber - anno III - trentottesima settimana

Meteo Uganda

L’Uganda è sempre stata molto gentile con noi in questi tre anni. Ma in questi giorni, per non farci sentire uno sbalzo termico eccessivo al nostro vicino ritorno in Italia, ha iniziato a fare un clima settembrino.
O forse sta provando a farci ricordare quello a cui andremo incontro nella speranza che decidiamo di prolungare un po’ la nostra permanenza!
Gli ugandesi ovviamente in queste anomale giornate si lamentano del freddo, dell’umidità e della poca luce, ma a sentirli noi questi discorsi ci sono parsi quantomeno surreali!
Hellen: “Eh…a Luglio ci sono spesso queste giornate incredibili. Ti può capitare addirittura di non vedere il sole fino alle 11!”. La Mari commenta: “da noi ti tocca aspettare fino all’11 di Marzo!!!”
Tornando dall’asilo dopo essere andato a prendere i bimbi a mezzogiorno, incontro un’infermiera: “Hai visto il cielo? È incredibile, sembra che siano le 9 di mattina”…se vieni in Italia portati un orologio altrimenti da Ottobre a Marzo potresti pensare che siano sempre le 6 di mattina!
Un’altra infermiera che abita all’interno dell’ospedale (praticamente deve camminare circa 20 secondi per andare dal proprio letto al reparto…) infossando il collo nelle spalle rabbrividisce e confida: “In giornate come queste vorrei stare a letto sotto le coperte e alzarmi solo per mangiare e per andare in bagno!” Mmm ti vedrei  bene al mattino alle sette a sgelare il parabrezza!
L’Elisa, ormai anche lei africanizzata dopo poco più di un mese, costretta ad andare in reparto bardata con felpa impermeabile e stivali di gomma: “Neanche fossimo a Padova a novembre!”.

Fattostà che stamattina guardando fuori dalla finestra al nostro risveglio abbiamo visto una leggera foschia in lontananza, e ho pensato  a quando fra pochi mesi sarò costretto ad accendere gli antinebbia sulla A4 per cercare di evitare una macchina a mezzo metro dalla mia e a mezzogiorno passato il Franci all’asilo girava ancora con addosso il maglioncino!

mercoledì 2 luglio 2014

Aber - anno III - trentasettesima settimana

Io non leggo

Oggi è arrivato un paziente che non aveva davvero niente di nuovo o di insolito.
Maschio, 35 anni dichiarati, almeno 50 dimostrati, alto e magro, faccia scavata, febbricitante, tossisce da mesi.
Anche se non sei medico solo a guardarlo puoi capire cosa ha: la peste del ventunesimo secolo (o ventesimo?...bhe sicuramente qui sarà anche quella del ventunesimo!).
E qui ad Aber la metafora di manzoniana memoria calza a pennello.
Solite domande sui sintomi e sui disturbi, poi chiedo se prende già la terapia.
Si prende dei farmaci.
Bene, quali?
Non si sa: ha lasciato a casa la propria documentazione medica.
Bhe non si ricorda il nome delle medicine?
E qui la risposta mi sconcerta. Forse perché ultimamente capisco quasi tutto quello che i pazienti dicono in Lango. Non che lo sappia parlare, ma in ospedale, in un contesto a me noto e con una terminologia tutto sommato limitata ho una certa autonomia.
Così capisco che il paziente risponde testualmente: “Non lo so. Io non leggo” che si potrebbe poi intendere: “Non lo so perché non so leggere”, o meglio “Non lo so perché non ho studiato”.
Ma l'asciuttezza della risposta che sono riuscita a cogliere in originale mi ha spiazzata e disarmata. Mi ha fatto sentire tutto il peso e la sconfinatezza della miseria che mi circonda e che mi ha circondato in questi anni qui ad Aber.
Non che non sapessi che ci possono essere miei coetanei che non sanno neanche leggere, ma come sempre quando una tale condizione di mancanza e privazione prende forma e carne davanti ai tuoi occhi lascia sempre un po' storditi.
Io non me la riesco neanche a immaginare la vita senza poter leggere una poesia di Neruda o una vignetta della settimana enigmistica o semplicemente la scadenza dello yogurt.
Forse lui non legge freddi tratti di inchiostro su una pallida carta, ma sa leggere il cielo, la terra, il sole e la luna, i semi e i frutti...tutto un altro alfabeto a me ignoto!
Questo mio coetaneo (forse...ma è verosimile perché la moglie che lo accompagnava aveva con sé un bambino di neanche un anno!) verrà ammazzato da qualcosa di cui non è neanche capace di leggere il nome abbreviato. Tre lettere in fila HIV che lui non sa riconoscere.

Su questa affermazione: “Io non leggo” - secca, ma enorme, sproporzionata- crolla ogni intendimento, ogni progetto, ogni tentativo di sviluppo che prescinda dallo scardinare tutte le forze che impediscono a questo popolo di acquisire una loro auto consapevolezza, una loro coscienza, di rivendicarsi come soggetti di diritti, almeno quelli universali dell'uomo.

mercoledì 25 giugno 2014

Aber - anno III - trentaseiesima settimana

Piccole democrazie crescono

Vogliamo raccontarvi un piccolo episodio che apre alla speranza nel futuro e che, quindi, non può che avere dei bambini come protagonisti. Come forse avevamo già scritto in passato, non sono rari i pomeriggi in cui il giardino davanti a casa nostra si popola di bambini che vengono a giocare col Franci e col Samu o, ad onor del vero, spesso più che altro con i giochi del Franci e del Samu. Come si sa l’occasione fa l’uomo ladro e così capita che a volte spariscano dei giocattoli. Anche se per caso non te ne accorgi subito, lo capisci il giorno dopo perché si presenta il doppio dei bambini in quanto la refurtiva intascata  fa ingolosire i vicini di capanna del ladruncolo che si precipitano nella speranza di ottenere un gioco in modo più o meno lecito. Noi naturalmente insistiamo che non vengano portati via i giochi non tanto per il loro valore in sé ma più che altro perché, se iniziano a sparire, nel giro di una settimana non ce n’è più per nessuno. E’ consentito quindi venire, giocare ma al termine è obbligatorio restituire. I metodi di controllo svariano da una semplice supervisione ad una perquisizione al termine della giornata. Qualche mese fa, proprio durante un “check out” abbiamo trovato le tasche di un bimbo piene di macchinine a cui, evidentemente, il piccolo furfantello non aveva saputo resistere. Senza farne un dramma, gli avevamo comunque detto che per un po’ non sarebbe potuto venire a giocare. Anche ieri il “munu-park” era pieno e alcuni bimbi erano facce nuove. Dieci minuti prima della fine della giornata vedo un piccolino allontanarsi in maniera losca ma faccio finta di niente; al momento del riordino me ne sono già dimenticato e certamente non so dire se le macchinine sono tutte presenti oppure no. Oggi puntualmente il numero dei presenti era ulteriormente incrementato dandomi la conferma che forse qualcosa ieri era sparito. Ad un certo punto però vediamo che si dispongono in cerchio e cominciano a parlare tra di loro. La discussione è abbastanza animata e, tra i “leader” c’è quel bimbo che avevamo allontanato qualche mese fa. Incuriositi li osserviamo andare avanti per una buona mezz’ora senza capire bene cosa stesse succedendo.  Al termine tutto il gruppo si dirige verso di me e mi comunica che ieri un bimbo aveva portato via un gioco. Io innanzitutto li ringrazio per il bel gesto fatto e poi gli chiedo di dire al loro amico che è meglio se porta indietro la macchinina così che possano andare avanti a giocarci tutti insieme quando vengono a trovarci. Ora io non so se ciò che ha mosso questi bimbi a riportare l’accaduto sia stato uno spirito di giustizia o la paura che, accorgendomi del furtarello da solo, avrei potuto impedire a tutti di venire a giocare (comunque anche in questo caso sarebbe stato un tentativo di preservazione dei propri “diritti” acquisiti)  comunque credo che sia un piccolo episodio positivo nella crescita di questi bimbi e, chissà, magari anche un segno di speranza per il futuro di questa democrazia.

In un paese dove la corruzione e le ingiustizie dilagano, questa è solo una piccola storia di bimbi, ma è un esempio che farebbe bene a tanti adulti.

giovedì 19 giugno 2014

Aber- anno III- trentacinquesima settimana


C’è chi viene e c’è chi va…

Cogliamo l’occasione di questo post per fare un po’ di aggiornamento sulle presenze ad Aber e insieme qualche riflessione, in modo particolare, su chi e soprattutto su come alcuni sono stati “allontanati”.
 
Ma iniziamo da “chi viene”: diamo il benvenuto a Vito ed Elisa. Entrambi chirurghi. Il primo è un chirurgo fatto…ma non ancora finito (!) mentre la seconda è specializzanda al penultimo anno. Vito è un mio quasi compaesano pugliese che è arrivato a metà maggio e che dovrebbe rimanere per circa sei mesi. Purtroppo a causa del pellegrinaggio non ho avuto modo di conoscere sua moglie e soprattutto le sue prelibatezze culinarie che mi avrebbero fatto sentire a casa prima del tempo! Friselle, pasta al forno alla pugliese, soppressata…mentre io mangiavo posho e fagioli!!!
Elisa prosegue invece la tradizione delle nostre amatissime vicine di casa…in meno di una settimana le due piccole pesti le hanno già tappezzato i muri con numerosissimi disegni di dubbio gusto ma che, chissà, un giorno potrebbero essere le opere d’esordio di due pittori futuristi. Fin d’ora le chiediamo scusa per il tormento che le daranno! Oltre a queste considerazioni, pensavo come loro sono le prime persone da quando siamo arrivati che rimarranno qui anche dopo la nostra partenza. Finora eravamo abituati ad accogliere, condividere e salutare mentre Vito ed Elisa erediteranno un pochino il ruolo di “lungo degenti”! Anche questo è segno, nel bene e nel male, della nostra ormai imminente partenza.
 
Passando invece al “chi va” vogliamo segnalare l’allontanamento di due infermiere dall’ospedale e della suora responsabile dell’orfanotrofio. Vorremmo riportare questi due episodi non per puro spirito di cronaca o, nel caso della suora dell’orfanotrofio, per festeggiare insieme a voi (come sapete non correvano rapporti idilliaci tra me e la responsabile del St.Clare!) ma perché sono sintomo di un atteggiamento ancora una volta non molto condivisibile dell’amministrazione dell’ospedale e dei donors dell’orfanotrofio. Come ormai sapete bene sia io che la Mari dal primo giorno che siamo arrivati abbiamo cercato di condividere il nostro modo di lavorare con i nostri colleghi cercando di essere comprensivi verso impostazioni o idee diverse ma evitando un eccessivo buonismo verso menefreghismi, pigrizie e disinteressi (o interessi che non fossero primariamente quelli dei destinatari del servizio). Per questa ragione erano state numerose le segnalazioni a chi di dovere di assenze ingiustificate, scarse o nulle attenzioni verso i ragazzi, mancanza di volontà di collaborare e altri atteggiamenti che secondo noi avrebbero meritato quantomeno un richiamo. Invece niente, la matron (responsabile delle infermiere) continuava a giustificarle con ragioni incomprensibili e il board dell’orfanotrofio (organo responsabile del menagement) non prendeva nessuna decisione in merito. Poi la svolta, improvvisa. Indovinate la causa? I soldi! Già, come sempre, l’elemento che fa smuovere le situazioni sono i soldi. Fa niente se i pazienti muoiono o i ragazzi sono abbandonati a loro stessi ma se mi rubi mille scellini sei finito. Così è successo che le due infermiere sono state colte in flagrante mentre si intascavano dei soldi e anche la gestione economica del St.Clare incominciava a destare dei dubbi. In quattro e quattr'otto sono state prese decisioni definitive. Licenziate le due infermiere e allontanata la sister. Chiaramente condanniamo anche noi questo tipo di atteggiamenti ma ci fa riflettere il fatto che solo quando le amministrazioni si sentono ingannate allora sono in grado di prendere decisioni nette mentre quando a rimetterci sono i più deboli, ancora una volta non sembra interessare a molti. Ma non dovrebbero essere i più tutelati?

giovedì 12 giugno 2014

Aber - anno III - trentaquattresima settimana

Sarah, Molly e le mamme africane

Sarah e Molly sono due mamme. Sono amiche e accomunate dal fatto di avere entrambe un figlio di 6 anni malato e dal fatto che io in questi tre anni ho cercato di prendermi cura dei loro bambini.
Oggi Molly è venuta con la sua bambina, Petra, che seguo per una anemia cronica e dopo la visita mi ha detto: “Come faremo ora che tu te ne vai? Chi si prenderà cura di Petra?”
Sarah era lì con noi, perché è anche una delle mie infermiere, e le ha risposto: “Cosa dovrei dire io? Chi seguirà Jacob che ha l'anemia falciforme?”
Poi ad entrambe sono sgorgate grosse lacrime dagli occhi.
Io ho cercato di sdrammatizzare: “...ma non siete vere african mothers!!!”
“Non siamo abbastanza forti...” ha risposto Sarah.
Già! Le madri africane che ho imparato a conoscere non si possono permettere di piangere per un figlio malato, perché di solito ne hanno altri cinque o sei a cui pensare.
Eppure anche qui, sotto questa coltre di calma apparente, di eterna immutabilità mai perturbata da sentimenti troppo forti, ci sono madri (chissà quante!), che si preoccupano e soffrono come me e più di me...anche per uno solo dei loro figli!
Sarah e Molly sono madri come me, preoccupate quando i loro figli non stanno bene. E non mi hanno ringraziata per il supporto economico che ho dato loro o per gli speciali farmaci europei che ho loro procurato: non lo ho mai fatto. Mi hanno ringraziata perché ci sono stata quando i loro bambini hanno avuto bisogno. E ora temono che non troveranno qualcun altro che abbia la stessa attenzione e la stessa compassione. Non vogliono che io porti i loro bambini in Italia e li guarisca: sanno che i loro bambini forse moriranno e magari sono anche pronte a questo. Ma chiedono che qualcuno si prenda cura di loro. E la loro richiesta nelle mie orecchie diventa grido di un popolo che non ha diritto a nulla, neanche alla cura, alla compassione per gli ammalati.
La piccola Petra in tre anni in cui l'ho vista circa una volta al mese mi ha sorriso solo una volta. E il piccolo Jacob quando ha saputo da sua mamma che io me ne andrò ha commentato: “Ma i pazienti soffriranno per questo!” e sua sorella lo ha preso in giro: “Anche tu!”. Sono piccoli già saggi come adulti. Perché la vita non darà loro il tempo di diventare saggi col tempo.
Mi viene da pensare che qui la missione bisogni ricominciarla da zero, dall'insegnare il comandamento più grande: ama il prossimo tuo come te stesso.
Non so se sono stata capace di fare questa missione in questi tre anni, se lo avessi fatto almeno per un giorno ne sarebbe valsa la pena.

Posso solo sperare che tutte le sorelle e i fratelli ugandesi che già lo fanno continuino a diffondere quest'unica parola che dà vita. 

sabato 7 giugno 2014

Aber - anno III - trentatreesima settimana

Scelte scomode

Non è certo facile condividere in poche righe due settimane e mezzo di immersione totale tra la gente di qua, tra i loro usi e le loro consuetidini. Il tutto, poi, “condito” da una camminata di 380km. Non è facile comunicare le fatiche e le gioie, i dolori fisici e le emozioni. Ci proverò comunque sapendo già che lascerò dei vuoti che solo l’esperienza diretta può colmare…prendetelo come un invito!!!



Lunedì 19 Maggio 2014, ore 1:30am, Cattedrale di Lira: PARTENZA. 

217 persone, 149 donne e 68 uomini, 2 Mzungu; 380 km totali da percorrere, 18 giorni, 11 tappe; due persone con le scarpe da ginnastica,  il resto con le infradito, alcuni scalzi; 




carichi enormi sulle teste delle donne; notti, cieli costellati con miliardi di astri luminosi, strade buie, silenzio e poi canti, preghiere; ci si riposa a bordo strada col naso all’insù, i camion che nella notte ti sfrecciano a 2 metri di distanza; ci si rimette in cammino, poi finalmente l’alba…è sempre una rinascita; pausa per la colazione con chapati, uova sode, te caldo, g-nuts; dolore alle gambe, ai quadricipiti, ai polpacci, sotto i piedi per le mille vesciche; dolore ad alzarsi, dolore a sedersi, bruciore, quasi paralisi; ma si va avanti sostenendosi a vicenda “worri, worri” “vai, vai”. 

Ora si cammina  sotto il sole, caldo, gocce di sudore; un paio di giorni piove; tanti saluti di persone lungo la strada, “Mzungu, will you reach?”, manghi regalati, bibite, bottiglie d’acqua tirate dai camion che passano, più avanti anche ananas e addirittura angurie donate, qualcuno ti da 700 scellini, un altro mille, tutti ti chiedono di pregare per loro. 

Scarpe che si consumano, suole che si assottigliano. I colori: verde, rosso, azzurro, una lingua di asfalto spesso rovinato. 














Arrivo alla cappella, breve riposo poi bisogna andare a prendere l’acqua al pozzo per lavarsi i vestiti che domani bisognerà rimettersi, una tanica anche per la doccia…qui ci si lava così. Acqua, ancora acqua dal pozzo questa volta per bere ma non prima di averla disinfettata con un po’ di amuchina; poi la cena è pronta: posho e fagioli per 15 giorni, 1 giorno carne, 1 giorno verza, 1 giorno niente cena, non c’è nessuno che la prepara e allora si condivide ciò che si ha: kassava, biscotti, g-nuts pest portato da casa ma ancora buono.
Ore 7:30 pm buona notte…in 217 in una sala, per terra, vicini, ci si tiene caldo per poche ore poi ci si rimette in cammino. 

Domenica 1 Giugno 2014, ore 4:30pm, Santuario di Namugongo: ARRIVO.


Come mi può essere utile oggi l’esempio dei Martiri d’Uganda? Credo che il messaggio più vero per me è di cercare di non essere egoisti. Nella quotidianità credo che sia importante non pensare solo a sé stessi; magari senza arrivare a dare la vita per gli altri o per la fede (non credo proprio di essere pronto per questo) però almeno sforzarsi di fare scelte un po’ scomode, che non mettano sempre e solo me al centro ma che abbiano uno sguardo un po’ più allargato sul mondo e al mio vicino. Magari cercare di far morire quella parte più egoista di sé.


Una suora comboniana che mi ha ospitato a Namugongo, il giorno prima della celebrazione mi ha detto “vedrai domani quanta gente, se il re che ha ucciso quei 22 ragazzotti avesse saputo che quel gesto avrebbe in futuro prodotto tutto questo, dato forza e fede a tutti questi cristiani, forse avrebbe deciso di lasciarli in vita! Dal suo punto di vista avrebbero certamente prodotto meno danni! Se il suo obiettivo era spegnere la fede, ha ottenuto il risultato opposto. E’ proprio vero che se il seme non muore non da frutto, ma se muore genera nuova vita”. 

domenica 1 giugno 2014

Aber - anno III - trentaduesima settimana

 Anche questa settimana ospitiamo un post scritto a sei mani da Laura Guido e Davide...a volte è bello vedersi e vedere il mondo attraverso altri occhi...

E approfittiamo per ricordare a chi ci è venuto a trovare o ci ha incontrato qui ad Aber, più o meno di recente, che è sempre il benvenuto a postare sul nostro blog, per raccontare attraverso altri sguardi questo angolo di mondo!
Buona lettura...


L’ABC dell’Africa

Quasi tutta l’Africa lango di Aber ad una valutazione superficiale potrebbe stare in un ABC…
Eccolo.
<< Apwoio >> <<Apwoio>> <<Ber?>> << Ber!>> <<Copango?>> << Copporopè!>>
<<Ciao!>> << Ciao!>> << Bene?>> << Bene!>> <<Novità?>> <<Tutto al solito!>>
Bene? Sicuri che va tutto bene? No, in effetti non ci sono novità, ma questo non va bene, qualche novità ci deve essere, guardate bene” verrebbe da dire quando in 15 giorni senti questo dialogo in lango così tante volte che ormai lo dici anche tu povero milanese che stenta a dire due parole in inglese…

Beh noi che abbiamo avuto l’occasione di vivere questa ricca esperienza difficilmente descrivibile in poche parole (come farebbe un lango..), abbiamo pensato di usare qualche parola in più e, guardando bene, abbiamo trovato almeno un’altra ventina di lettere oltre l’ABC per dire questa nostra Africa, e vorremmo condividerle con gli amici del blog…                                                       




A come l’alfabeto degli amici ad Aber fatto di gesti semplici familiari quotidiani che hanno reso l’esperienza in casa Piccio indimenticabile
B come Basket time occasione sportiva e divertente che il nostro eroe Berna (Davide) nel match Italia – Uganda ha voluto vivere con lo stile NBA del basket spettacolo, tra cadute voli piroette a piedi scalzi sul cemento: ne porta ancora brutti segni...

C come lo sport preferito dagli abitanti di Aber: la Corsa al mango: al primo soffio di vento posizionarsi nei pressi del mango con aria indifferente (nei pressi, mai sotto, dove ci sono i famosi serpenti del mango, quelli verdi, forse non velenosi, - come forse??), tenere lo sguardo fisso al mango giallo (maturo) che starà per cadere e al primo movimento di caduta del frutto dal ramo fiondarsi a raccoglierlo cercando di non farsi colpire, caso in cui il trauma cranico è assicurato; un pomeriggio Guido e Franci sono rimasti 20 minuti a fissare la pianta di mango e poi hanno vinto! (brutta cosa la fame…)




D come Dai che ce la facciamo ad arrivare lì in 36 ore di meraviglioso viaggio passando dal Rwanda e poi su a Kampala da dove iniziava l’infinito viaggio nel bush ugandese su un pullman con uomini donne bambini e bestie, a due ruote sull’asfalto e due giù, per una pendenza di 45 gradi sul lato...
E come Esagerati i semini in un limone, i fagioli che cadendo a terra danno la pianta, le stelle nel cielo, le termiti nel volo nuziale, i temporali tropicali, gli orizzonti infiniti, il rosso della terra, il numero dei figli…  

F come Futuro che nella grammatica lango non esiste … e come si fa a pensare ad un futuro se non si sa se si arriva al mattino dopo e se lo sguardo al domani è “magari qualcosa succede”…
G come Franci il Guerriero che cammina a testa alta, unico bambino musungu, col suo cerotto in mezzo alla fronte che lo corona eroe dei due mondi;






  H come Aber Hospital dove la Pizzi, furibonda, al cesareo numero 200 (almeno) deve ancora dire alla strumentista “bisturi” “forbice” “filo”, dove Stella muore di leucemia (forse, come si fa a far diagnosi? la suocera i soldi per andare al Lacor Hospital per la biopsia non li ha e forse la mucca che invece ha le serve per comprare un’altra moglie al figlio..), dove Moses viene dimesso (VIVO) con le prime tre cause di morte al mondo e ritorna a casa a riprendere in mano la zappa che aveva lasciato per un “dolorino alla schiena”, dove le donne per riposare un po’ si fanno ricoverare mimando crisi convulsive e meningiti che (qualche volta, poche) fregano anche la Pizzi;
I come Iceme, Lacor e tante altre realtà dove persone diverse in modi e tempi diversi hanno dato e danno la vita per gridare e vivere una giustizia, dare e chiedere dignità e libertà;   
J come Jafar Piccione, grasse risate, grazie Marco! ed evviva tutti i Piccione, ormai tantissimi anche in Africa!
K come Kassava… “no, grazie, come se l’avessi presa, davvero…” L come Lariam che da bravi stiamo ancora prendendo, come fossimo ancora un po’ lì in Africa;
M come Muezo gioco africano fatto di legno e semi, gioco che richiede abilità, velocità e ragionamento, regalo di Martin a Marco, a cui anche noi abbiamo cercato di imparare a giocare, segno delle belle relazioni che oltre agli ostacoli della lingua e della cultura Marco e Mari hanno; saputo intrecciare, relazioni nelle quali anche noi in qualche modo siamo entrati, nel nostro piccolo, perché le relazioni vere tendono ad allargarsi;
  N come Nilo, regale e maestoso, che fa il solletico ai coccodrilli e agli ippopotami, che rispecchia i voli spettacolari dei martin pescatori e delle libellule, che rende verde e rigogliosa la terra rossa d’Africa e che incanta nelle sue cascate;
O come hO visto Milan - Atalanta nel Mc Donald di Kampala (no comment);
P come il Pellegrinaggio (in corso) a Namugongo di Marco, per camminare insieme, per fare un pezzo di strada (solo 450 Km, gli stessi delle nostre 6 ore di pullman…) con gli Ugandesi: aspettiamo i tuoi racconti!! (no tranquillo non diciamo in giro che ti sei portato la tenda “pronta in un lancio” della Decathlon, la Moca rigorosamente da UNO, il filtro per l’acqua, la maglietta in microfibra assorbisudore e ti sei spruzzato di insetticida Biokill se mai anche gli insetti avessero voluto camminare con te…);
Q come Quirino gigante buono, fedele autista nel tratto Entebbe – Kampala: un grazie particolare a lui per averci offerto a casa sua a finestre chiuse e con la stufetta accesa (fuori la temperatura era drammaticamente scesa da 38 a 30 gradi) una bevanda simile alla cioccolata calda che ci ha mandato in sciolta all’aeroporto di Entebbe e di Istanbul (sempre piacevole…);
R come Rientro che si avvicina, vi aspettiamo in questo povero Occidente;
S come Spiedini di capra serviti su raggi di bicicletta ad ogni fermata del bus, versione ancestrale del Mc Drive..;
T come Tse Tse, la mosca assassina che, si legge nelle bibbie dei tropicalisti: “può trasmettere diversi tipi di Tripanosoma (bestiolina che trasmette la “malattia del sonno”, un sonno…eterno…ndr) che si incrociano proprio lì nell’East Africa nella zona delle Murchison falls (le cascate del Nilo di cui sopra) e, per quanto ormai i casi siano rari, colpiscono principalmente gli avventurosi turisti che si inoltrano in quel territorio..”. Marco: <<ricordatemi che quando giriamo a sinistra su per il bosco, si devono sollevare i finestrini, se no entrano le mosche”; peccato che il tubo della macchina si sia rotto proprio in quei paraggi ai piedi del bosco e abbiamo assistito al macchinoso tentativo di riparazione del tubo per un’oretta all’aria aperta e che nella barca sul Nilo ad un certo punto ci sia stata un’invasione di mosche.. Beh ce la raccontiamo tra qualche mese…!!!
U come Uragano tropicale che pochi giorni dopo la nostra partenza ha abbattuto manghi e con essi capanne (tra cui la Moschea di Mustafa papà di Jafar Piccione a cui mandiamo il nostro pensiero affettuoso) – vedasi E e M;
V come Varicella: scusaci Samu se ti grattavi e noi pensavamo ad un simpatico capriccio per attirare la nostra attenzione e ancora adesso, guardando la tua foto alla pozzanghera con la manina che cerca di raggiungere la schiena per un attacco di prurito, ci sentiamo male!


W come What are you looking? Chiediamo a dei turisti americani nel Parco tutti intenti coi cannocchiali a guardare in una direzione… : Lions! Lions? WoW! Noi si stava guardando un meraviglioso esemplare di tartaruga, notando che di simili ce ne sono anche …al Parco Lambro…!






X: impossibile segnarla sui più comuni atlanti cercando Aber! Ma dove siete (siamo) andati?!?!
Y come You and Me, l’opzione telefonica tra Marco e Mar…iagrazia? Ma no! Tra Marco e Martin che a dispetto dell’ABC dei lango (vedi sopra) ha scelto di unire virtualmente la sua SIM a quella di Marco per dire tante parole parole parole – vedasi M;
Z come Zappare, che se passa a sport olimpico l’Uganda porta a casa l’Oro come nella Maratona..
Apwoio
Davide Guido e Laura