mercoledì 30 aprile 2014

Aber - anno III - ventottesima settimana

Sistema mafioso

Se è vero che due indizi fanno una prova, ora ho la certezza che il sistema ugandese locale (lasciando stare, per questa volta, quello nazionale) è assolutamente mafioso. Con questo termine intendo un sistema in cui, se cerchi di portare avanti qualche attività per garantire i diritti di tutti, per assicurare la trasparenza e per aiutare i più bisognosi ma, sfortunatamente (e per altro quasi sempre inevitabilmente) vai a rompere le scatole a chi ha il potere, si innescano dei meccanismi di gelosia, di ricatto e, a volte, di paura e intimidazione che diventano difficili da ignorare. Tutto questo, ancora una volta, rende l'intervento del bianco inutile se non, a volte, addirittura dannoso.
Ma provo a spiegarmi meglio descrivendo brevemente alcune situazioni che, credo, non abbiano bisogno di nessun particolare commento.
Eunice: è una ragazza del St.Clare con cui fin dal mio arrivo abbiamo stretto un buon rapporto. Una ragazza molto in gamba. Con lei abbiamo cercato di far capire alle suore l'importanza di mandare le ragazze alla miglior scuola possibile (lei è riuscita ad entrare ad Aboke), l'importanza di fare attività extra curricolari e altre piccole questioni interne all'organizzazione del St.Clare. Il risultato è che le suore hanno iniziato a metterle i bastoni tra le ruote un po' in tutto. Ultimo episodio è di settimana scorsa quando Eunice, dopo aver fatto una crisi isterica (con tanto di ricovero in ospedale) per una lettera di suo zio (attuale tutore) in cui scriveva parole molto cattive (soprattutto sui suoi genitori morti) ha chiesto di rimanere al St.Clare durante le vacanze per paura di tornare a casa. Da parte delle suore c'è stata una chiusura totale. Cosa forse ancora più grave è che lei ha avuto paura di parlare con il parroco (anche lui membro del St.Clare) chiedendo di poter restare perchè temeva le ripercussioni che avrebbero potuto farle le suore per aver “denunciato” la cosa al prete.
Francis: E' un ragazzo che, caso più unico che raro qui, non manda a dire le cose ma te le dice in faccia. Certo, con una modalità a volte non ineccepibile, ma per un ragazzo di 21 anni direi più che accettabile. E' lo scout a cui avevamo “sponsorizzato” l'esperienza in Burundi e con cui, da allora, abbiamo condiviso tanto dei problemi dell'orfanotrofio per poi riportarli ai donors. A dicembre ha finito la secondary 4 e da allora sta chiedendo alle sister di aiutarlo a procurarsi un “application” per la nuova scuola (le sister dovrebbero dargli dei soldi per il trasporto e approvarne la scelta). Tutto ciò che ha ricevuto fin'ora sono stati due secchi no su due proposte che aveva fatto e un “vai a casa a procurarti l'application da solo poi torna e, se ci va bene, ti pagheremo le school fees”.
Morish: con lui sto solo facendo un piccolo corso di computer durante le ore libere che i ragazzi hanno a scuola. Dato che durante le ultime vacanze le suore avevano impedito a dei ragazzi di venire a casa mia (neanche fosse una cosca di facinorosi!) abbiamo deciso di farlo durante le ore libere che i ragazzi hanno durante la giornata scolastica chiedendo quindi il permesso alla direttrice della scuola. Per questo è stato semplicemente deriso e sfottuto dalle sister davanti agli altri con frasi del tipo: “sei sempre a casa di Marco, ha deciso di portarti in Italia?” o altre cose simili.
Paul: è un catechista. Tramite di lui ho contattato il gruppo di ragazzi con cui ho iniziato il progetto di microcredito e a lui ho chiesto di sostituirmi nella riscossione delle rate mensili quando partirò. Il fatto di non aver sostenuto dei ragazzi della cappella di Atapara (dove risiede il parroco) ha suscitato delle gelosie che hanno spinto il parroco stesso (che si è visto escluso dalla possibilità di mettere le sue mani sui soldi) a trasferire Paul in un'altra cappella molto piccola. Questo vuol dire per il catechista meno offerte settimanali (di cui, una parte costituisce il suo salario) e meno stimoli. Oltre che, in questo caso, un allontanarsi dal progetto iniziato con i giovani.
Certo, Eunice poteva andare un po' meno fuori dagli schemi delle sister e non evidenziare le carenze nella gestione del St.Clare; Francis poteva stare un po' più zitto su alcune strane movimentazioni di soldi fatte dalle suore; Morish poteva rinunciare ad il suo corso per non andare contro una decisione presa; Paul poteva farsi i fatti suoi e non pensare ai giovani di Kamdini. Tutti loro avrebbero avuto dei piccoli vantaggi personali a breve termine ma, per fortuna, hanno deciso di fare scelte diverse.

Come scrivevo settimana scorsa: “la liberazione è un parto, un parto doloroso”...e solo la gente di qua con scelte un po' coraggiose, anche a discapito di alcuni vantaggi personali, deve decidere di andare contro il sistema classista e precostituito così da poter far crescere piano piano la vera giustizia e la vera libertà!

mercoledì 23 aprile 2014

Aber - anno III - ventisettesima settimana

La pedagogia degli oppressi

A volte è consolante leggere un libro e ritrovarci tanti tuoi pensieri e tante tue idee nate dall'esperienza. A me sta succedendo con “La pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire e per questo voglio riportarvi alcune frasi che spero possano suscitare anche in voi delle riflessioni sul vostro vissuto quotidiano.

“Umanizzazione e disumanizzazione sono possibilità degli uomini come esseri inconclusi e coscienti della loro inconclusione. Ma anche se tutte e due costituiscono una possibilità, solo la prima ci sembra costituire la vocazione dell'uomo.”

“Il potere degli oppressori, quando cerca di rendersi gradito alla debolezza degli oppressi, si esprime quasi sempre come falsa generosità, senza arrivare mai a superarla. Gli oppressori, falsamente generosi, hanno bisogno che l'ingiustizia perduri, affinché la loro “generosità” continui ad avere le occasioni per realizzarsi”

“Forse tu fai delle elemosine. Ma da dove le prendi, se non dalle tue rapine crudeli dalla sofferenza, dalle lagrime, dai sospiri? Se il povero sapesse da dove viene il tuo obolo, lo rifiuterebbe perché avrebbe l'impressione di mordere la carne dei suoi fratelli e di succhiare il sangue del suo prossimo. Egli ti direbbe queste parole coraggiose: “Non saziare la mia sete con le lagrime dei miei fratelli. Non dare al povero il pane impastato con i singhiozzi dei miei compagni di miseria. Restituisci al tuo simile ciò che gli hai sottratto ingiustamente, e io ti sarò molto grato. Che vale consolare un povero, se ne crei altri cento?” (tratto da: Gregorio di Nissa, Sermone contro gli usurai)

“La pedagogia dell'oppresso deve essere forgiata con lui e non per lui”

“Tuttavia gli oppressi, accomodati e adattati, “immersi” nell'ingranaggio della struttura dominante, temono la libertà, perché non si sentono capaci di correre il rischio di assumerla. E la temono anche perché lottare per essa costituisce una minaccia, non solo per gli oppressori, che la usano come proprietari esclusivi, ma anche per i compagni oppressi, che si spaventano all'idea di maggiori repressioni”

“La liberazione è un parto. Un parto doloroso”

“Diventare solidali non è avere coscienza di essere sfruttatore e “razionalizzare” questa colpa in maniera paternalistica. La solidarietà, giacché esige da colui che diventa solidale che “assuma” la situazione di coloro che ha scoperto oppressi, è un atteggiamento radicale.”

“Per noi il nocciolo della questione non consiste nell'illuminare le masse ma nel dialogare con loro sui motivi e le modalità della loro azione...azione che è umana solo quando, più che un semplice fare, è un “che fare”, cioè quando non si stacca dalla riflessione”

“La pedagogia dell'oppresso, che in fondo è la pedagogia degli uomini che si impegnano nella propria liberazione, ha qui le sue radici. E i suoi soggetti devono essere gli oppressi che si sappiano oppressi o comincino a sapersi tali criticamente. Nessuna pedagogia realmente liberatrice può mantenersi distante dagli oppressi, cioè può fare di loro degli esseri sfortunati, oggetti di un trattamento umanitario, per tentare la creazione di modelli adatti alla loro promozione, servendosi di esempi tratti dall'esperienza degli oppressori”

“La pedagogia dell'oppresso...è animata da una generosità autentica, umanistica e non umanitaristica. Al contrario, la pedagogia che, partendo dagli interessi egoistici degli oppressori (egoismo camuffato con apparenze di generosità), fa degli oppressi gli oggetti del suo umanitarismo, mantiene e incarna l'oppressione”

“Un rivoluzionario si riconosce più per la fede nel popolo, che lo impegna, che per mille azioni realizzate senza questa fede”

“A un certo momento dell'esperienza esistenziale degli oppressi si verifica un'attrazione irresistibile verso l'oppressore. Verso il suo stile di vita...Ciò si verifica soprattutto negli oppressi della classe media, la cui aspirazione è divenire uguali all'uomo “illustre” della cosiddetta classe “superiore””

“L'autosvalutazione è un'altra caratteristica degli oppressi. Risulta dal fatto che introiettano la visione che l'oppressore ha di loro”

“Finché gli oppressi non prendono coscienza delle cause del loro stato di oppressione, accettano con fatalismo il loro sfruttamento. Peggio ancora, con molta probabilità assumono posizioni passive e alienate di fronte alla lotta per la conquista della libertà e per la loro propria affermazione nel mondo. In ciò consiste la “connivenza” dell'oppresso con il regime oppressore”

“E' imprescindibile che la convinzione degli oppressi di dover lottare per la propria liberazione sia non elargizione fatta loro dalla propaganda rivoluzionaria, ma risultato della loro coscientizzazione”


E a proposito di prendere coscienza della propria situazione di oppressi credo che sia doveroso anche per noi in Italia riflettere sulla condizione in cui ci troviamo a vivere. Non credo che gli oppressi siano solo i poveri ma, piuttosto, oppressi sono tutti coloro a cui è tolta la possibilità di pensare in modo libero e le modalità usate dall'oppressore sono diverse nel tempo e nello spazio.

giovedì 17 aprile 2014

Aber - anno III - ventiseiesima settimana

Collocazione provvisoria

Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo.Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. A te, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra.Coraggio. La tua Croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della Croce.Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

(don Tonino Bello)

NB: In copertina, la croce “abbellita” dalle ragazze della scuola di Aboke.

giovedì 10 aprile 2014

Aber - anno III - venticinquesima settimana

Mako dyere

Questi Langi non finiscono mai di stupirti! Credo che non basterebbero 50 anni per scoprire tutte le usanze e le tradizioni di questa gente…ma non ne basterebbero certamente neanche 150 di anni per scoprire tutti i motivi che hanno per organizzare una festa! Anche perché, credo, se ne inventano sempre di nuovi!

Circa 10 giorni fa, Emor, pro-zio di Samuel mi telefona invitandomi a scoprire un altro spicchio della cultura locale. Onestamente, per telefono, non capisco bene di cosa si tratti: una cerimonia? Delle danze? Una festa? Boh! Poi mi telefona venerdì scorso e mi dice che il tutto è sospeso perché hanno dovuto spendere i soldi previsti per questo “evento” per il funerale della nonna! Della nonna? Ma già Emor avrà 70 anni?! Vabbè, un’altra cosa che non si capirà mai sono i legami di vera o presunta parentela. Oltre che, naturalmente, indeterminate rimangono sempre anche le età delle persone! Poi, mi ritelefona nuovamente domenica e mi dice che, guarda caso, i soldi per fare la festa si sono trovati e che quindi il programma è confermato per martedì.

Il giorno previsto, mi armo di buona volontà, mi infilo nella Piccio-car e mi avvio, nuovamente, verso l’ignoto!

Arrivato a casa di Emor provo ad informarmi un po’ meglio su ciò a cui sto andando incontro ma le informazioni aggiuntive che mi vengono date non mi aiutano più di tanto a chiarirmi le idee: “la gente ha iniziato ad arrivare ieri sul luogo dei festeggiamenti” – dice uno. “E’ tipo una visita di cortesia ad un amico” – incalza un altro. “sono invitati tutti i membri dei due clan” – sottolinea un terzo! Sì, tutto chiaro ma…perché ci si ritrova? Alla fine capisco che il vero motivo è: sancire un’amicizia tra due donne. Non pensate cose strane, una normalissima amicizia tra due donne. Pur attribuendo un valore inestimabile all’amicizia, la mia mentalità da europeo, quella mentalità con cui (purtroppo!) si fa fatica a chiedere ed ottenere un giorno di ferie per partecipare al matrimonio di un amico che si sposa in settimana, continua a far fatica a capire il perché bisogna incontrarsi per sei (!) giorni infrasettimanali (quindi, in teoria, lavorativi) tutti insieme per sancire un’amicizia. Dico sei giorni perché: un giorno per arrivare, un giorno per festeggiare e il giorno dopo per tornare a casa…il tutto raddoppiato per due dato che, naturalmente, va fatto sia a casa di un’amica che a casa dell’altra.

Arriviamo e il clima che troviamo è già molto caldo (e non intendo meteorologicamente!). La gente è già molto coinvolta nei festeggiamenti essendo arrivata la sera prima. Vengo accolto, come al solito, da urla, schiamazzi, e sventolii di bandiere e vengo fatto accomodare alla sedia d’onore. Senza neanche accorgermene mi trovo con una cannuccia in bocca che, all’altro estremo, termina in una damigiana piena di birra tradizionale. Mi vengono in mente gli avvertimenti della Mari per cercare di prevenire alcuni non simpatici inconvenienti in cui si può incorrere bevendo una sostanza di origine ignota in 10 persone tutte dalla stessa cannuccia e mi stacco, spero, appena in tempo!  Poi, dopo aver scattato un po’ di foto, vengo condotto in una capanna e, fatto accomodare, mi viene servito del cibo: pesce, purea di piselli, g-nuts pest, polenta di miglio e, per finire, salsina di termiti arrostite e pestate! Ore 11…buon appetito, la colazione è servita! Già. Infatti scopro solo dopo che si trattava della colazione. Esattamente me ne accorgo solo quando, verso mezzogiorno, dopo aver comunicato che dovevo tornare a casa, mi viene chiesto di fotografare le festeggiate insieme ad una povera capretta condotta al macello! Una capretta che da lì a due o tre ore sarebbe stata servita agli invitati come pranzo! Oltre a questo, scopro che mi sarei perso anche tutti i “riti” tra le due amiche tra cui la consegna dei doni e lo cospargersi di olii profumati! Purtroppo, però, devo scappare!


Al ritorno chiedo nuovamente  alla nostra housekeeper come è possibile che per sancire un’amicizia si arrivi ad organizzare quel po’ po’ di festeggiamenti e lei, con un’aria tra lo scocciato e lo stupore per come questi “munu” non capiscono, mi dice che il “mako dyere” (ossia “diventare amici”) è molto diffuso e, anzi, lo sta diventando sempre più anche quello tra due uomini…beh, certo, un altro buon motivo per far festa!

mercoledì 2 aprile 2014

Aber - anno III - ventiquattresima settimana

Specchio e zappa

Nell'ospedale di Aber ogni dipartimento organizza a turno un piccolo corso di aggiornamento ogni settimana. Qualche tempo fa è stato il turno dell'Ante-Natal Care (ANC) ossia l'ambulatorio che segue le donne durante la gravidanza. Non ci lavorano medici, ma solo ostetriche e infermiere che fanno una visita e degli esami di base alle mamme e che più o meno ogni giorno fanno delle piccole riunioni con gruppi di mamme per informarle ed educarle sulla gravidanza, il parto ed i primi mesi di vita del nascituro. In pratica quello che da noi chiamiamo corso pre-parto.
Come aggiornamento lo staff dell'ANC ci ha presentato gli elementi fondamentali del counselling offerto alle mamme per prepararsi al parto in ospedale o nel Health Center.
Dal punto di vista della crescita professionale e scientifica forse il corso non è stato niente di che, ma io e Sara, che eravamo le uniche due “munu”, siamo rimaste incantate dall'universo che abbiamo potuto sbirciare attraverso questo squarcio che ci è stato aperto!
Prima di tutto la mamma viene invitata a decidere in anticipo chi la accompagnerà all'ospedale quando il travaglio inizia, con quale mezzo, chi penserà alla casa nel frattempo, e...cosa fare della placenta! Non nel senso che devono decidere se donare le cellule staminali del cordone o contattare un centro in Svizzera che si occupi della conservazione...ma se vogliono che venga seppellita o se preferiscono portarsela a casa...
La mamma deve poi occuparsi per tempo di sistemare la casa affinché sia accogliente per il piccolo e per se stessa durante le prime settimane dopo il parto: sfalciare e zappare tutto il cortile attorno alla casa rimuovendo per bene le sterpaglie e le erbacce (...insidioso nascondiglio per serpenti...), pulire l'interno rimuovendo la polvere e, se si tratta di una capanna di fango e erba, ritoccare il rivestimento di muri e pavimento con una bella spalmata di...sterco...Non da ultimo riempire il granaio e rifornire la catasta di legna.
Poi viene il momento di preparare la borsa per l'ospedale: ecco cosa non può assolutamente mancare: lenzuola per la mamma e fasce per il bebè (inclusa una calda copertina), bacinella, sapone per il bucato, cibo (soprattutto te e zucchero che la sosterranno durante il travaglio), pentole e utensili per cucinare, crema idratante e borotalco per il bebè e ...specchio e pettine, sia per la mamma che per il bebè!
Infine la futura mamma può stare tranquilla perché casomai non facesse in tempo ad arrivare in ospedale, durante l'ultima visita prima del parto le verrà fornito un kit per qualsiasi evenienza: guanti, lametta per tagliare il cordone e stringhe di cotone per legarlo, cotone e collirio per prevenire il tracoma da applicare subito al neonato!

Che dire...per quelli fra voi che hanno partecipato ad un corso pre-parto le differenze saltano all'occhio, ma penso che tutti le possano cogliere! Nelle vita apparentemente così semplice di questo popolo, in particolare di queste donne, c'è una realtà così variegata da includere secchiate di sterco e uno specchietto da borsetta!