mercoledì 21 maggio 2014

Aber - anno III - trentunesima settimana

Laura Guido e Davide

In questo mese di maggio abbiamo nuovamente aperto le porte della nostra casa di Aber: per due settimane sono stati con noi Laura, Guido e Davide.
Laura e Davide, miei compagni di università, mi hanno seguita in ospedale anche agli orari più impensabili; Guido, educatore a trecentosessanta gradi, ha affiancato il Piccio alle...”varie ed eventuali”!
Come sempre è stata un'occasione ricca di condivisione e di confronto, ma anche e soprattutto il dono della compagnia di buoni amici con cui condividere quattro chiacchiere, tante risate e qualche birra fresca!
Ecco il nostro angolo d'Africa visto attraverso gli occhi di Laura...

Un lavandino con due vasche sotto ad una finestra con tanto cielo, una cup da 250 gr di farina, una da 50 gr e una da 20 gr (mi sembra…), una pentola in smalto (rigorosamente con coperchio), un pentolone per l’acqua da (almeno) 5 litri, i bicchieri diversi tra loro e due tazze gialle bellissime per i bimbi, il detersivo per i piatti che lava poco…
Farina, G-nuts pest (tanto in tutte le salse), “nutella” equo, torta al limone, pane fatto in casa, patate (dolci), fagioli, Kassava (non tanta), manghi, popo e ananas.
Questo mi è passato tra le mani in questi nostri 15 giorni di Aber..
Sono state le giraffe, gli elefanti, i bufali e gli ippopotami a rimanere sulle nostre foto insieme a volti di donne uomini e bambini più o meno sconosciuti (anche al mondo).
L’orizzonte troppo ampio, il verde più verde, le strade rosse, la potenza dei temporali, la Via Lattea e la maestosità del Nilo a far alzare gli occhi al Cielo e a provocare il tonfo al cuore.

Niente di tutto questo, pur stando nell’Africa dell’Africa, è rimasto a riempire di gioia il mio cuore incerto al rientro, come la quotidianità – africana ma equilibrata, missionaria e semplice – della Piccio’s family.
E ritrovare, gustare, vivere un’amicizia fatta di lunghe chiacchierate alla finestra (di cui sopra), fatta di risate, di piccoli impegni condivisi, di riscoperta reciproca, di momenti gioiosi con i bambini, di desiderio di tenersi compagnia, di tempo per i racconti – racconti di episodi e di fatti ma anche di scelte di vita di riflessioni e di fatiche – è stata l’opportunità più grande di quest’Africa, che forse va un po’ vissuta così..
Dell’inferno delle guardie della Mary, della fatica del Marco nel prendersi cura (davvero) dei ragazzi, del lavoro spesso assurdo di entrambi, porto a casa la certezza di aver fatto con loro un pezzettino (seppur millimetrico) di strada e con loro di averla fatta con quest’Africa esagerata per certi versi, morta per altri.
E se il vostro desiderio era essere presente come famiglia in mezzo a questo popolo per vivere una quotidianità di famiglia normale, moglie marito mamma papà medico educatore normali, se questo era il vostro disegno di missione, noi l’abbiamo toccato con mano. E anche per noi siete stati missionari e testimoni.

Apwoio Franci per tutte le ali di termiti e per avermi fatto fare amicizia con i rospi e i lombrichi. Apwoio Samu per la compagnia del tuo sottofondo incomprensibile ma simpaticissimo e per le tue carezze dolci. Grazie Marco, tour operator, meglio… compagno di avventura sulle strade africane e non solo.. Grazie Pizzi per la tua amicizia.

giovedì 15 maggio 2014

Aber - anno III - trentesima settimana

Missione è…camminare insieme!

Come alcuni di voi già sanno ho deciso di compiere, come gesto conclusivo (o quasi) della nostra esperienza ugandese, il pellegrinaggio a Namugongo. In accordo con Maria Grazia (che ha accettato di sorbirsi da sola per più di due settimane le piccole pesti) ci sembrava un bel gesto ricco di significati.
In primo luogo il camminare insieme verso una meta: Non c’è nessuno più importante degli altri, nessuno conosce dei trucchi particolari per non soffrire o per evitare la fatica; prendere scorciatoie non è consentito; ognuno deve fare i conti con i propri limiti e trovare il modo per raggiungere la meta individualmente. Allo stesso tempo però la presenza di ciascuno è stimolo per gli altri e, a turno, si trascina o ci si fa trascinare.
A questo pellegrinaggio prendono parte gruppi provenienti da tutta Uganda ma anche dagli stati confinanti come Rwanda, Tanzania, Repubblica democratica del Congo, Sud Sudan, Kenya e altri ancora. Ogni diocesi si organizza e parte un tot di giorni prima in modo da raggiungere Namugongo il 2 Giugno e poter così prender parte alla celebrazione del 3 Giugno: il giorno dei Martiri d’Uganda. Per quanto mi riguarda, partirò lunedì 19 dalla cattedrale di Lira e dopo 360 km arriveremo alla nostra meta…almeno così mi auguro.
L’aspetto più “preoccupante” sono le condizioni logisitiche: vitto, alloggio e condizioni ambientali. Partendo dall’ultimo aspetto, per ovviare il caldo si è deciso di partire durante le ore notturne in modo da arrivare al traguardo di tappa intorno alle 11 o mezzogiorno. Per quanto riguarda l’alloggio saremo ospitati da cappelle, scuole o centri di vario genere che ci metteranno a disposizione degli spazi per stendere il nostro materassino/stuoia e un pozzo da cui prelevare dell’acqua per farsi delle docce improvvisate. In fine, per il vitto ogni partecipante ha comprato 3 kg di farina per fare il posho e 2 kg di fagioli…la dieta migliore per degli atleti!
Un altro aspetto che consideriamo importante è il poter celebrare insieme alla gente di qui la loro grande devozione verso l’esempio dei martiri. Questi giovani ugandesi che hanno dato la vita per un ideale, per testimoniare un insieme di valori, per diffondere gli insegnamenti di Gesù. Insieme, cattolici e protestanti.  Migliaia di persone si ritrovano per ringraziare questi loro connazionali, per ricordare l’esempio di questi 27 giovani che offrendo la loro vita, per assurdo, continuano a vivere spingendo la gente ad interrogarsi su come e per cosa stanno spendendo la loro.

Dopo aver camminato quasi tre anni metaforicamente con questa gente, ora cercherò di farlo nel vero senso della parola per circa due settimane… sempre con i miei limiti di Muzungu!

mercoledì 7 maggio 2014

Aber - anno III - ventinovesima settimana

Piccioni d'Uganda

Anche se l'episodio che voglio condividere questa settimana risale ad un paio di mesi fa, credo che valga la pena di essere raccontato per capire (forse) un po' di più di come ragiona la gente di qua ma soprattutto, modestia a parte, per celebrare la mia ascesa tra la schiera dei Santi!
Al momento della nostra partenza per la Tanzania, la moglie di Mustafà aspettava un bimbo che sarebbe dovuto nascere da lì a poco. Ed in effetti mentre navigavamo tra un isolotto e l'altro ci è arrivata la lieta notizia della venuta al mondo di un bel torello di quasi 4Kg. Naturalmente, al nostro ritorno ad Aber, una tra le prime cose che faccio è telefonare al neo-papà per congratularmi. Durante la telefonata mi dice qualcosa del tipo “vieni a trovarmi che il tuo omonimo ti aspetta”. Wow, che onore Mustafà aveva deciso di chiamare suo figlio Marco. Così, dopo averlo ringraziato, gli assicuro che il prima possibile sarei andato a trovarlo.
Il pomeriggio successivo mi avvio verso il compound di capanne in cui vive Mustafà e vengo accolto da Mustafà stesso e da una sua nipotina. Dopo essermi congratulato anche di persona mi viene spontaneo di chiedere “Beh, dov'è Marco?” vedo che fa una faccia un po' strana e mi risponde “Marco? Chi è Marco?” il mio primo pensiero è di aver fatto l'ennesima figuraccia – forse avevo capito male per telefono, non l'ha chiamato Marco – e mi scuso subito cercando di spiegare il malinteso. “No, non c'è nessun malinteso, lo voglio chiamare veramente come te mio figlio ma non Marco, gli voglio dare l'altro tuo nome anche se adesso non me lo ricordo bene” “no, no, no! Ferma tutto non vorrai mica chiamarlo Piccione?” “Sì, esattamente, non me lo ricordavo ma voglio chiamarlo proprio Piccione”. Allibito cerco di dissuaderlo in tutti i modi da questa malsana idea “ma no, chiamalo Marco ma non Piccione!”. Niente da fare ormai è deciso, il figlio di Mustafà si chiamerà Piccione. Incuriosito e un po' intimorito provo a chiedere qual è il secondo nome che gli vuole dare e mi risponde “Jafar! Jafar Piccione is beautifull!”
Sì, una meraviglia!
Ormai rassegnato anch'io dal fargli cambiare idea non c'è altro da fare che accettare questo nuovo ed ennesimo no sense!

Dovete sapere che da queste parti è abbastanza comune sentire nomi italiani perché sono passati diversi dottori e molti preti ma, per quanto ne so io, “l'onore” di dare il cognome di un'altra persona al proprio figlio veniva riservato solo ai Santi. Che dire caro Jafar Piccione, quando ti troverai a scuola con un Daniel Comboni o un John Bosco e ti chiederanno da dove viene il tuo nome, dì semplicemente che è il nome di un amico di papà e, dopotutto, ritieniti fortunato perché almeno qui la gente non sa cosa vuol dire Piccione!