mercoledì 20 agosto 2014

Aber - anno III - quarantaquattresima settimana

Chi pianta datteri non mangia datteri

Non so se questo proverbio è vero, non so se una pianta di datteri impieghi veramente 100 anni a dare i frutti. Vero è, però, che quando ho sentito questa frase l’ho subito associata alla nostra esperienza africana. In modo particolare in questo periodo in cui più o meno giustamente si tirano le somme, in cui, più o meno giustamente si cercano di fare delle valutazioni, sicuramente questo detto può aiutare a fare delle considerazioni. Una prima domanda è: sulla base di quale parametri valutare un’esperienza del genere? I frutti che si possono vedere? La crescita personale? Umanamente si ricerca nelle frasi delle persone quella gratificazione di cui si ha bisogno: “se non fosse stato per te non staremmo studiando qui”; “Dr. Maria come faremo senza di te?”; “a un mese dalla partenza si pensa già alla nuova esperienza e invece tu sei ancora qui a partecipare a tutte le nostre riunioni”; etc.etc.
Sicuramente fanno piacere però vorrei proporre anche un altro modo per valutarsi, più umile e che non ambisce a cambiare il mondo ma piuttosto può aiutare noi stessi a migliorarci un pochino. Questa valutazione è fatta solamente di una domanda: ho dato il massimo? Se la risposta è sì, credo si possa essere soddisfatti, comunque. Anche se gli errori ci sono stati e anche se i cambiamenti non si vedono quello che mi devo chiedere è: Io ho dato il massimo, ho dato quello che ho anzi, quello che sono;  ho cercato di non dare spazio alle pigrizie, alle paure e alle arrabbiature oppure mi sono fatto prendere dallo sconforto nei momenti bui o mi sono adagiato sugli allori quando le cose andavano meglio? Ho messo sempre al centro l’altro, unico obiettivo del mio agire, cercando insieme a lui con perseveranza e testardaggine il bene comune? 
Tornando al nostro detto di partenza, credo veramente che sia più importante pensare a come ho piantato i datteri più che aspettarmi di vederne i frutti. Un conto è buttare il seme dove capita, un conto è studiare il terreno, ararlo, nutrirlo, amarlo e deporvi il seme mettendo in gioco tutte le conoscenze che si hanno. Poi può succedere che malgrado la mia buona volontà i frutti non appariranno mai ma non per questo sarà stato un fallimento. Altri impareranno dai miei errori: la stagione sbagliata, il terreno sbagliato, il seme messo troppo in profondità e soffocato. Oppure semplicemente ci saranno altre condizioni esterne che saranno più clementi e favorevoli.

Nel nostro piccolo anche noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio…confidando nei semi che ci erano stati dati e cercando di seminarli nel miglior modo possibile, confidando nel terreno che li accoglieva, confidando che le condizioni al contorno fossero favorevoli. A me i datteri piacciono…per fortuna cent’anni fa qualcuno ha pensato agli altri più che a sé stesso e ha  sperato nel futuro.

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