mercoledì 29 gennaio 2014

Aber - anno III - diciassettesima settimana

Winny e Eunice

Questa storia dovrebbe raccontarla Marco, ma siccome è una storia di donne mi riservo il privilegio di raccontarla io...

Quest'anno, per la prima volta, Marco è riuscito a far inserire due ragazze del Saint Clare al Saint Mary College di Aboke: Eunice e Winny appunto.
Come sapete la scuola di Aboke è gestita dalle Suore Comboniane ed è considerata una delle migliori Secondary School in tutto il Paese.
Il test di ingresso è molto selettivo, ma vengono ammesse anche ragazze che, pur non avendo superato la prova, provengono da situazioni difficili, soprattutto dal territorio Lango o dalle zone più disagiate del paese (come la Karamoja) per dare loro una possibilità.
Così è stato per Eunice e Winny.

Alla fine del secondo trimestre, in agosto, c'è stato il cosiddetto “open day” durante il quale i genitori possono andare a visitare le studenti e parlare con gli insegnanti.
Per Eunice e Winny siamo andati io e Marco (con Franci e Samu ovviamente)!!!
Lì per lì non mi sono resa conto di quanto poteva essere importante per loro, che altrimenti sarebbero state da sole, mentre le loro compagne passavano la giornata con genitori, fratellini e sorelline.
La giornata è stata semplice ma bella. Come al solito loro non parlano un granché, ma si vedeva dai loro occhi la loro gratitudine mista ad imbarazzo per il fatto di avere dei “visitors msungo”!
Sr. Susan, la direttrice della scuola, ci ha spiegato che non sarebbe stato facile per loro essere promosse, anche se si stavano impegnando molto.

Finito l'anno scolastico e gli esami, Marco è andato a prenderle per riportarle al Saint Clare ed ha avuto la notizia che sono state promosse entrambe!

Credo che questo sia uno dei più bei frutti della nostra missione qui in Uganda, forse è ancora solo un seme, anzi due semi di speranza. Due giovani donne a cui viene data una possibilità e la colgono. Non un successo nostro, un obiettivo raggiunto, un progetto realizzato, ma il frutto della loro volontà e del loro impegno.
Per me è il segno che l'Africa è donna e che per questo si può rialzare e può camminare!

Ora siamo agli sgoccioli delle vacanze e settimana prossima ricominceranno le scuole: in bocca al lupo Winny e Eunice, in bocca al lupo Africa!



mercoledì 22 gennaio 2014

Aber - anno III - sedicesima settimana

Alip

Alip aveva 9 vite come un gatto. Ma l'altra notte s'è giocato anche la nona.
Alip aveva 11 anni, una malattia cronica ai reni, una famiglia povera e disagiata con un padre alcolista, la voglia di vivere e quella strana incoscienza tipica di quell'età.
Tutti gli anni più o meno in questo periodo arrivava all'ospedale in condizioni indescrivibili.
Prima Caterina, poi io, lo riprendevamo per i capelli e dopo qualche settimana lo rimandavamo a casa e così via.
Questa volta non andrà così. Io non l'ho neanche visto. E' arrivato di sera e la notte stessa è morto. Ma come? Cosa aveva? Cosa è successo? Perché non avete chiamato il medico quando è stato male? Continuavo a chiedere la mattina. La risposta: semplicemente è peggiorato ed è morto. Silenziosamente. Senza disturbare. Senza dover chiamare un dottore, senza dover dare una terapia d'emergenza o fare una rianimazione. E' morto.
Questa risposta vale in Africa, o almeno ad Aber. Questa risposta è sufficiente. Non lascia nessuno insoddisfatto.
Neanche me. Ma a me lascia il vuoto. Il vuoto che ha lasciato un ragazzino di 11 anni nella sua famiglia, per quanto scombinata, nel compound, nel villaggio. In quel gruppo di 20 o 30 scalmanati che bigiano la scuola e vanno a fare il bagno al fiume o si arrampicano sui manghi è rimasto quel vuoto pneumatico che ha lasciato la risposta delle mie infermiere nel mio stomaco.
Le mie infermiere di quella notte sapevano che potevano chiamare il medico. Sapevano che dovevano farlo. Ma non hanno voluto farlo. Non perché sono cattive o menefreghiste. Non c'è nessun giudizio etico in queste osservazioni. Di fatto il perché non va cercato in Africa. Mai. Porta lungo chine pericolose. 
Quella africana non è la filosofia dei perché. Davanti al mio incalzare di domande che seguono un inesorabile filo logico aristotelico non sono mai riuscita ad ottenere risposte. Non so se per l'eloquenza della mia retorica o per la totale mancanza di significato alle loro orecchie.
Non è ancora questo il vuoto più inaccettabile. Ma quello che separa questo mondo da quello che pensa che in questo stesso spazio e tempo si possa mettere un laboratorio analisi grandissimo e costosissimo in grado di fare esami e quindi diagnosi di malattie che poi non sapremo, non potremo, e soprattutto non vorremo curare.
Si può cambiare certo. Ma il cambiamento suppone tante fasi e tutte dipendono strettamente dalla scelta del soggetto del cambiamento stesso.
Il vuoto inaccettabile è quello fra due mondi che non solo non si sono mai realmente conosciuti e capiti, ma che non si sono proprio mai incontrati e nonostante ciò sembrano condannati a vivere insieme nello stesso barattolo. Sotto vuoto. Senza possibilità di trovare un mezzo che li metta in comunicazione.
Noi, mondo bianco, continuiamo a pensare che loro abbiano bisogno di strumenti, di possibilità, di formazione. E che siamo noi a doverglieli dare. Ma è quello che noi pensiamo. E a guardar bene è un po' supponente, quasi quasi direi razzista. Questo pensiero dominante del cooperante, dell'aiutante, dell'elemosinante ha ingabbiato noi e loro in un gioco delle parti da cui è quasi impossibile uscire. Ed è la forma di colonialismo più subdola e velenosa che io abbia mai visto.

mercoledì 15 gennaio 2014

Aber - anno III - quindicesima settimana

Progresso o regresso?

Anno nuovo…problemi vecchi! Dopo essersi concessi quattro giorni di vacanze ci siamo ributtati nella quotidianità delle nostre attività. Non che ci aspettassimo che, con il nuovo anno, tutti i problemi svanissero, ma almeno c’era la speranza che non peggiorassero e invece…ecco una nuova, ennesima, conferma che tanti progetti rischiano di portare più un regresso che un progresso!
Nello specifico mi riferisco alla situazione (che scopro essere sempre più assurda) del St.Clare. Prima di scrivere questo post, mi sono detto “ma no dai, basta stressare con queste polemiche; basta critiche pesanti” ma poi… non ce l’ho fatta. Penso che, a rischio di essere noioso, certe cose vadano condivise soprattutto perché, col passare del tempo, sono avvalorate da una più ampia conoscenza, una maggior cognizione di causa e quindi una più profonda convinzione.
Forse perchè sei in un contesto diverso dal tuo, oppure perchè immerso in una realtà così nuova o, ancora, a causa dei mille avvertimenti che ti danno prima di partire per la missione (entrare in punta di piedi, rispettare le usanze, non stravolgere la realtà in cui ti inserisci, etc), soprattutto all’inizio è facile pensare che sei tu quello che si sta sbagliando, che sei tu quello che non capisce il contesto in cui sei venuto a trovarti. E così per un finto rispetto, per una falsa comprensione che in realtà è più vicina ad una forma di razzismo (“non possono capire certe cose”, “è troppo presto per loro per fare questo passo”, etc) è facile cambiare idea e assecondare alcuni comportamenti che invece dovrebbero essere stigmatizzati come sbagliati sempre, comunque e ovunque. In realtà poi, spesso scopri che le cose non stanno così come pensiamo noi e che, per ignoranza (cioè perché ignoriamo qualcosa che in realtà esiste) con i nostri atteggiamenti rischiamo di rallentare dei processi di crescita o, addirittura, di fargli invertire la rotta.
Come sapete, l’orfanotrofio è gestito da tre suore di cui: solo una ha una formazione in ambito educativo, la responsabile è un’infermiera (con nessuna esperienza precedente) e l’altra non ha alcuna competenza specifica. Per il resto ci sono solo un patron, una matron (che dormono con i ragazzi e le ragazze) e dei workers (cuochi, gate-man, un paio di tutto-fare). E’ sicuramente l’aspetto di questo progetto che ho da sempre criticato maggiormente. Sarà per deformazione professionale ma non ritengo possibile gestire un orfanotrofio con 80/90 ragazzini tra i 6 e i 15 anni senza educatori, senza del personale che possa essere (nel limite del possibile) amico, fratello maggiore o genitore a seconda dei casi di ragazzi orfani con storie di violenze e abbandoni alle spalle.
Così, mentre parlavo della situazione dell’orfanotrofio con il probation officer (una sorta di assistente sociale) sono venuto a sapere che, almeno in teoria, la legge in Uganda è molto più avanti di quello che pensavo (e forse più avanti anche di quella italiana). Il probation officer mi diceva infatti che, per legge appunto, le strutture come un orfanotrofio vanno gestite da una persona con un titolo in ambito socio/educativo e con una presenza di social workers in rapporto di 1:8 con i ragazzi! Non dico di rispettare esattamente queste indicazioni (magari anche un rapporto di 1:20 potrebbe andar bene) ma almeno tenere presenti alcuni orientamenti che la legge cerca di dare, credo che sia doveroso!
Quello che mi chiedo quindi è: un progetto che mette a disposizione una struttura molto bella ma che poi non riesce a sostenersi e a coprire delle voci di costo annuali come lo stipendio di personale addetto alla gestione socio-educativa così come previsto dalla legge locale, è un progetto di sviluppo o inviluppo? Un progetto che non tiene in considerazione i (purtroppo) pochi diritti previsti per le fasce deboli di una popolazione rischiando di promuovere e diffondere un modello chiaramente mancante dell’essenziale a favore dell’apparente , porta progresso o porta regresso? Perché portare avanti un progetto che in Germania e Austria (le nazioni dei donors) non verrebbe mai approvato dagli assistenti sociali?

La risposta purtroppo è facile: perché qui è l’Africa! qui va bene un po’ tutto! perché l’Africa deve accettare qualunque tipo di elemosina…”non vorrete mica che, oltre a dargli dei soldi, teniamo presenti anche la loro storia e la loro legge!”

PS1: ricordo a chi non ha ancora avuto modo di scaricare il video del nostro viaggio al Kidepo che può farlo clickando QUI

PS2: REGALO!!! anche se con un po' di ritardo, anche quest'anno potete scaricare il Piccio-calendario del 2014. Vi basta clickare QUI oppure sull'immagine presente nella colonna qui a fianco! un piccolo pensiero...augurandovi ancora una volta buon anno!

domenica 12 gennaio 2014

Special Post

Kidepo: il video!
Ecco finalmente l'attesissimo video che racchiude un po' di foto scattate durante il nostro viaggio al Parco del Kidepo...potete scaricarlo cliccando QUI ...buona visione!

giovedì 9 gennaio 2014

Aber - anno III - quattordicesima settimana

Hakuna Matata

Dal 4 al 7 Gennaio ci siamo concessi quattro giorni di vacanza. Meta della nostra gita è stato il Parco Nazionale del Kidepo. E’ un parco a circa 300Km da noi. Situato all’estremo confine nord-est dell’Uganda confina sia col Kenya che col Sud-Sudan. Recentemente è stato inserito nella lista dei 10 parchi più belli d’Africa. Uno dei motivi di tale eccellente posizionamento è sicuramente lo stato molto selvaggio che tutt’ora mantiene. Proprio a causa della scomodità nel raggiungerlo, il Kidepo è ancora poco visitato e conserva un’atmosfera quasi primitiva. In questo viaggio ci siamo fatti accompagnare da un tour operator di Kampala che rientra nel giro del così detto “turismo responsabile”. Con tale termine si intende un turismo che cerca di conoscere e sostenere la realtà che incontra e favorire, nel limite del possibile, le comunità che accolgono il visitatore. Durante questi quattro giorni abbiamo così avuto la possibilità di incontrare una comunità karimojong. Questo popolo abita la Karamoja che è una delle regioni più povere dell’Uganda soprattutto a causa dell’aridità quasi desertica del territorio. E’ stato interessante entrare, anche se molto brevemente e marginalmente, in una cultura veramente unica.
Per quanto riguarda il parco vero e proprio, naturalmente è stato molto bello. Purtroppo non siamo riusciti a vedere i leoni, ma abbiamo comunque visto animali mai visti prima come la zebra o lo sciacallo e abbiamo avuto la fortuna di essere presenti in alcune situazioni particolari come lo spostamento in massa di una mandria enorme di bufali o il “banchetto” di alcuni avvoltoi che ripulivano la carcassa di un bufalo sbranato da un leone.

Anche in questo caso spero che le immagini possano aiutare più delle parole nel condividere la nostra esperienza. Purtroppo, ho aspettato fino adesso ma la connessione internet  va un po’ a rilento e quindi non riesco a caricare il video. Appena sarà disponibile, non tarderò a fare un special post con il link da cui scaricarlo!