martedì 29 luglio 2014

Aber - anno III - quarantunesima settimana

ʿīd al-fiṭr 

La ʿīd al-fiṭr ( arabo ﻋﻴﺪ ﺍﻟﻔﻄﺮ) costituisce la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica.
Viene celebrata alla fine del mese lunare di digiuno di ramaḍān (e dunque il 1° di shawwal), come segno di gioia per la fine di un lungo periodo penitenziale. Letteralmente il significato dell'espressione araba è "festa della interruzione [del digiuno]". (wikipedia)

Lunedì scorso ho partecipato alla preghiera/celebrazione organizzata dalla comunità islamica di Aber. L’imam della moschea è una persona che ho avuto modo di conoscere bene durante questi tre anni e con cui ho anche collaborato in un paio di progetti. Così, quando gli ho detto che mi sarebbe piaciuto partecipare ad una loro preghiera, ha colto l’occasione per invitarmi a questa grande festa.
Pur non essendo molto numerosa, la comunità islamica di Aber è assidua nel ritrovarsi regolarmente nella moschea del villaggio costruita secondo lo stile delle capanne locali con tetto di paglia e pareti di fango.  
In questa occasione però, la celebrazione viene fatta all’aperto sia per motivi di spazio (naturalmente richiama un numero di fedeli molto più alto del solito) sia, mi spiegavano, per motivi di testimonianza e apertura verso tutti coloro che sono interessati a vedere ciò che si sta svolgendo in questa giornata speciale.
Quando arrivo alle 9, le stuoie sono tutte sistemate rivolte verso la Mecca e le prime persone hanno già iniziato la preghiera personale. Subito vengo accolto e invitato a sedermi.
Dopo pochi minuti arriva Mustafà (l’Imam) e inizia la preghiera comunitaria recitata in parte in arabo, in parte in lango e riassunta per me in inglese. Si alternano momenti di spiegazione del Corano e momenti in cui vengono ripetute insieme delle sure accompagnate da gesti di preghiera. Inoltre viene fatta una colletta che verrà distribuita subito dopo la celebrazione ad alcune persone particolarmente indigenti.
Al  termine della preghiera, ci si ritrova nuovamente per dare spazio questa volta ad un momento più di discussione e chiarimenti su alcuni dubbi di fede. Naturalmente sono emersi alcuni punti in comune con il Cristianesimo e alcune differenze ma, ancora una volta, è stato importante sentire e condividere come il vero messaggio di fondo sia assolutamente lo stesso per islamici e cattolici. Quando però, durante i saluti finali, una persona in modo semiserio mi augurava di convertirmi all’islam, mi è venuto spontaneo di rispondere che invece io non gli auguravo una conversione al cristianesimo ma piuttosto di cercare di essere un buon musulmano come noi speriamo di riuscire ad essere dei buoni cristiani.

Come tutte le feste che si rispettino, in qualunque religione del mondo, la conclusione è stata affidata ai baccanali! 

martedì 22 luglio 2014

Aber - anno III - quarantesima settimana

La torta mondiale

Come già condividevo in passato, il corso che sto tenendo alla scuola secondaria St.Mary di Aboke sulla missionarietà è una delle attività più interessanti che ho avuto la fortuna di portare avanti in questi tre anni. Non per voler essere ripetitivo ma ancora una volta devo osservare come la riuscita di un progetto è inversamente proporzionale alla quantità di soldi spesi. In questo caso…costo zero, coinvolgimento delle ragazze massimo! Sabato scorso questo percorso condiviso si è arricchito di un altro interessante capitolo. Il tema che stavamo trattando era “la condivisione” intesa a 360° e ho pensato di proporre come gioco per la condivisione delle risorse “La torta Mondiale”. Come forse molti di voi sapranno, La torta mondiale è un gioco in cui si rappresenta il mondo (servendosi di dati forniti da alcuni centri di ricerca per uno sviluppo sostenibile) mantenendo fedele il rapporto tra il numero di persone appartenenti ad un certo continente e la quantità di risorse per esse disponibili. Quindi, per fare qualche esempio, con un gruppo di 20 persone, 12 rappresenteranno l’Asia e avranno a disposizione 7 risorse (solitamente merende); 3 persone saranno l’Africa con 1 risorsa; 1 persona sarà il Nord America con 11 risorse; 2 persone l’Europa con 11 risorse e così via! Come gioco è molto ben pensato e da sempre molti spunti per discutere con i ragazzi…soprattutto perché i ragazzi-Africa e i ragazzi-Asia si vedono veramente privati delle loro gustose merendine!!! Fin’ora però mi era sempre capitato di proporlo in Italia, ma questa volta il contesto era diverso: lo proponevo in Africa, lo proponevo nella parte di Mondo che è vittima e non carnefice di questa situazione. Come avrebbero reagito?  Se di solito quando lo si fa dalle nostre parti, dall’analisi della situazione esce rammarico, dispiacere e un vago senso di colpa, questa volta speravo uscisse rabbia per la presa di coscienza di essere vittime di ingiustizie e voglia di riscatto. In effetti, nel momento in cui ho svelato cosa rappresentava quella situazione a gruppi in cui si trovavano c’è stato un attimo di imbarazzo e sorpresa. Imbarazzo da parte mia che da “bianco” mi trovavo a dire: “questa è l’Africa, questo gruppo siete voi. 1 biscotto per tre persone e in più vi do anche le carte vuote dei biscotti come rifiuti gettati dal resto del mondo”. Sorpresa da parte loro nel vedersi proporre da un “colpevole” un gioco del genere. Comunque, dopo questi primi attimi il gioco è andato avanti e sono uscite questioni interessanti. Purtroppo, rispetto a quello che avrei voluto, è emersa ancora troppa rassegnazione e senso di dipendenza dal così detto primo mondo però la speranza è che sia un pochino cresciuta quella consapevolezza che è la prima molla per far scattare la volontà di essere protagonisti del cambiamento.  Ecco alcuni episodi avvenuti durante il gioco che voglio portare alla vostra attenzione senza alcun commento:
 Una ragazza-Asia ha commentato “noi siamo fortunati ad essere in tanti, in questo modo possiamo dividerci i problemi”
Un’altra ragazza-Asia rivolgendosi al Nord America: “dovrebbero donarci un po’ di biscotti!”. Io intervengo facendo notare l’errore dell’usare la parola “donare” e sottolineo come: “Dovrebbero essere suddivisi diversamente i biscotti per giustizia, non per carità”
Nella fase in cui si chiede ai partecipanti di trovare delle soluzioni… una ragazza “emigra” dall’Africa, si sposta in Nord America e ci rimane.

Un’altra ragazza “emigra” dall’Asia, va in nord America, prende due biscotti, torna in Asia ma se li tiene per sé e non li condivide con gli altri asiatici.

martedì 15 luglio 2014

Aber - anno III - trentanovesima settimana


Ai confini del mondiale

Senza voler fare facili polemiche o cadere in luoghi comuni, ci riproponiamo di rileggere i mondiali appena finiti vedendoli con gli occhi di chi sta vivendo in una parte molto povera del Brasile. Marco e Valentina sono due missionari laici comboniani. Marco è giornalista e ha avuto la possibilità di fare una blog-cronaca della coppa del Mondo sul sito di Famiglia Cristiana. Dopo tanto tempo passato davanti alle televisioni per guardare le sfide tra i campioni, consiglio vivamente di ritagliarsi una mezz’oretta per leggersi i post che ci permettono di conoscere un po’ meglio alcune delle partite che il popolo brasiliano gioca quotidianamente e per tutta una vita. 
Grazie Marco e Valentina

Ecco il link al Blog di Marco: ai confini del mondiale

Vi ripropongo qui uno dei post che mi ha colpito maggiormente:

La donna che guarda le partite con Dio.
La signora Eunice guarda le partite del Brasile con suo figlio e con Dio. Già, questa donna sulla sessantina non si dimentica della presenza di “Lui” al suo fianco. E così ad ogni visita c’è qualcosa da imparare. Prima di quattordici figli, la signora Eunice vive oggi in affitto in una piccola casa fatta di tavole di legno a un centinaio di metri dalla nostra abitazione nel quartiere di Piquiá, città di Açailandia, Nordest del Brasile. Con lei ci sono tre figli: due escono la mattina per andare al lavoro e tornano verso le 17 o le 18, mentre l’altro, di una trentina d’anni di età e con un forte ritardo mentale, resta sempre con lei. 
Questa donna non si alza dalla sedia da una decina d’anni a causa di un ictus che l’ha lasciata con metà corpo paralizzato. Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi. “Dio si prende cura di me e non mi fa mai mancare niente”, ripete spesso anche in mezzo a una povertà materiale evidente. Ogni volta che passo di là con mia moglie, la signora Eunice ci chiede di leggere e commentare insieme il Vangelo del giorno. “Dio è sempre presente, è là - dice indicando il giardino di casa – e se potessi leggerei sempre la Bibbia”. Solo che non può, perché non è mai andata a scuola e nessuno le ha insegnato a leggere.
Eppure è chiaro che sta scrivendo il Vangelo con la sua vita. Con la sua fiducia incrollabile in un Dio che si prende cura di lei. Con la sua capacità di crescere i figli e di accogliere con un sorriso tutto sdentato chiunque le faccia visita. Nel modo in cui ha imparato ad affrontare le gioie e le sofferenze che la quotidianità non le fa mai mancare. Qualcuno con tanti studi sulle spalle dice che si tratta di una fede piuttosto “semplice”, “immatura”. Personalmente sento di avere bisogno di mettermi sui banchi di scuola della signora Eunice. Per imparare anch’io, un giorno, a guardare le partite con Dio.

L’immagine di copertina è un graffito di Paulo Ito comparso per le strade di San Paolo.

giovedì 10 luglio 2014

Aber - anno III - trentottesima settimana

Meteo Uganda

L’Uganda è sempre stata molto gentile con noi in questi tre anni. Ma in questi giorni, per non farci sentire uno sbalzo termico eccessivo al nostro vicino ritorno in Italia, ha iniziato a fare un clima settembrino.
O forse sta provando a farci ricordare quello a cui andremo incontro nella speranza che decidiamo di prolungare un po’ la nostra permanenza!
Gli ugandesi ovviamente in queste anomale giornate si lamentano del freddo, dell’umidità e della poca luce, ma a sentirli noi questi discorsi ci sono parsi quantomeno surreali!
Hellen: “Eh…a Luglio ci sono spesso queste giornate incredibili. Ti può capitare addirittura di non vedere il sole fino alle 11!”. La Mari commenta: “da noi ti tocca aspettare fino all’11 di Marzo!!!”
Tornando dall’asilo dopo essere andato a prendere i bimbi a mezzogiorno, incontro un’infermiera: “Hai visto il cielo? È incredibile, sembra che siano le 9 di mattina”…se vieni in Italia portati un orologio altrimenti da Ottobre a Marzo potresti pensare che siano sempre le 6 di mattina!
Un’altra infermiera che abita all’interno dell’ospedale (praticamente deve camminare circa 20 secondi per andare dal proprio letto al reparto…) infossando il collo nelle spalle rabbrividisce e confida: “In giornate come queste vorrei stare a letto sotto le coperte e alzarmi solo per mangiare e per andare in bagno!” Mmm ti vedrei  bene al mattino alle sette a sgelare il parabrezza!
L’Elisa, ormai anche lei africanizzata dopo poco più di un mese, costretta ad andare in reparto bardata con felpa impermeabile e stivali di gomma: “Neanche fossimo a Padova a novembre!”.

Fattostà che stamattina guardando fuori dalla finestra al nostro risveglio abbiamo visto una leggera foschia in lontananza, e ho pensato  a quando fra pochi mesi sarò costretto ad accendere gli antinebbia sulla A4 per cercare di evitare una macchina a mezzo metro dalla mia e a mezzogiorno passato il Franci all’asilo girava ancora con addosso il maglioncino!

mercoledì 2 luglio 2014

Aber - anno III - trentasettesima settimana

Io non leggo

Oggi è arrivato un paziente che non aveva davvero niente di nuovo o di insolito.
Maschio, 35 anni dichiarati, almeno 50 dimostrati, alto e magro, faccia scavata, febbricitante, tossisce da mesi.
Anche se non sei medico solo a guardarlo puoi capire cosa ha: la peste del ventunesimo secolo (o ventesimo?...bhe sicuramente qui sarà anche quella del ventunesimo!).
E qui ad Aber la metafora di manzoniana memoria calza a pennello.
Solite domande sui sintomi e sui disturbi, poi chiedo se prende già la terapia.
Si prende dei farmaci.
Bene, quali?
Non si sa: ha lasciato a casa la propria documentazione medica.
Bhe non si ricorda il nome delle medicine?
E qui la risposta mi sconcerta. Forse perché ultimamente capisco quasi tutto quello che i pazienti dicono in Lango. Non che lo sappia parlare, ma in ospedale, in un contesto a me noto e con una terminologia tutto sommato limitata ho una certa autonomia.
Così capisco che il paziente risponde testualmente: “Non lo so. Io non leggo” che si potrebbe poi intendere: “Non lo so perché non so leggere”, o meglio “Non lo so perché non ho studiato”.
Ma l'asciuttezza della risposta che sono riuscita a cogliere in originale mi ha spiazzata e disarmata. Mi ha fatto sentire tutto il peso e la sconfinatezza della miseria che mi circonda e che mi ha circondato in questi anni qui ad Aber.
Non che non sapessi che ci possono essere miei coetanei che non sanno neanche leggere, ma come sempre quando una tale condizione di mancanza e privazione prende forma e carne davanti ai tuoi occhi lascia sempre un po' storditi.
Io non me la riesco neanche a immaginare la vita senza poter leggere una poesia di Neruda o una vignetta della settimana enigmistica o semplicemente la scadenza dello yogurt.
Forse lui non legge freddi tratti di inchiostro su una pallida carta, ma sa leggere il cielo, la terra, il sole e la luna, i semi e i frutti...tutto un altro alfabeto a me ignoto!
Questo mio coetaneo (forse...ma è verosimile perché la moglie che lo accompagnava aveva con sé un bambino di neanche un anno!) verrà ammazzato da qualcosa di cui non è neanche capace di leggere il nome abbreviato. Tre lettere in fila HIV che lui non sa riconoscere.

Su questa affermazione: “Io non leggo” - secca, ma enorme, sproporzionata- crolla ogni intendimento, ogni progetto, ogni tentativo di sviluppo che prescinda dallo scardinare tutte le forze che impediscono a questo popolo di acquisire una loro auto consapevolezza, una loro coscienza, di rivendicarsi come soggetti di diritti, almeno quelli universali dell'uomo.